di Paolo Badiali (docente
di lingua e letteratura inglese). Articolo apparso
su
"il Galletto" di sabato 16 maggio 2009
“Il respiro del giorno, il respiro della notte”, il recente
nuovo volume di poesie del poeta barberinese Ivo Guasti, segna per la mia
personale sensibilità, l’apice della maturità poetica dell’autore. Non dovendo
soddisfare i crismi di un approccio formale d’analisi dei testi non mi sono
volutamente rimesso a rivedere le pubblicazioni passate e quindi ragiono, nel
confronto, su quello che mi ricordo di aver provato nelle letture dei libri
d’Ivo nel corso degli anni. Capisco per primo che da questo punto di vista,
parlare di “apice poetico” in un percorso artistico così lungo e articolato come
quello di Ivo (le prime raccolte poetiche risalgono ai primi anni 70’), senza le
dovute verifiche strutturali, può sembrare forse eccessivamente naif, ma un
approccio più istintivo si addice forse meglio allo scopo principale di queste
brevi note che è quello di contribuire a far conoscere al pubblico mugellano un
personaggio locale di grande caratura artistica.
Una cosa che mi ha colpito fortemente in questa nuova raccolta è la tendenza
pressoché imprevedibile del verso a cercare continuità di senso, di suono e
d’emozione nel verso successivo, oppure a rimanere in sospeso in sé stesso in
una felice forma d’implosa epifania ermetica. Ho preso nota delle singole poesie
e quest’impressione l’ho trovata puntualmente confermata, per quanto bizzarra e
apparentemente contraddittoria possa apparire la notazione. Anche in caso d’enjambement
si riscontra una notevole varietà di soluzioni. Molto belle sono le
continuazioni di rinforzo che completano il quadro sentimentale del verso
aggiungendovi una delicatezza di suono davvero perforante (cfr. giocava
l’alba)
A
volte il verso può addirittura spezzarsi al suo interno senza perdere integrità
e spessore ma anzi amplificando la sua portata suggestiva fino ad ammiccare
alla formazione di correlativi oggettivi (cfr. rosa volto acceso)
reminiscenti di Eliot e di Montale; In “tarda l’ora arriva” ho avuto
suggestioni nella chiusa che mi hanno riportato ai sonetti di Shakespeare: tutte
le domande e la tensione del componimento si sciolgono nell’ultimo verso che non
è mai introverso o stucchevolmente nostalgico, ma sempre positivo, proiettato
verso la pienezza di una speranza civile ed umana che non dà spazio al
nichilismo postmodernista ma che esalta la vita e l’esistenza come delicata
tensione al bene e alla felicità. Ricordo che nella produzione passata d’Ivo,
questa tendenza, seppur presente, era avviluppata in una natura poetica più
rigida, più celebrale e volontaristica, meno adatta, a mio parere, a svolgere la
funzione d’accoglienza e d’inclusione di ogni genere d’umanità a cui ben si
presta invece il presente volume.
Concludo questa breve scheda d’impressioni con la citazione di un paio di poesie
che mi sono piaciute particolarmente.
“Il bruno della notte” presenta un meraviglioso gioco sinestetico tra l’oscurità e la luce, un vero cantico francescano di lode degli elementi a cui sottende la non indifferente complessità di una matura metafisica poetica. Tutto questo nella semplicità concreta del gioco artistico che fa percepire realmente il passaggio graduale e quasi impercettibile dall’oscurità alla luce secondo il meccanismo delle moderne lampade a gradazione dell’intensità.
“La nebbia spumeggiante” e “nel tempo idea mi
venne” fanno avvertire una ineffabile dolcezza ( dolcezza è per me anche la
parola chiave per definire tutto il volume) dell’animo e della mente del poeta
che sono questa volta in Ivo realmente in simbiosi, specie nell’atto
d’accostarsi ai luoghi e, per necessità, anche ai tempi della propria storia,
colti e rispettati proprio nel loro superamento in chiave positiva. Ivo non
cancella la tenerezza sofferente derivante dalla rivisitazione della propria
storia ma non ne fa, come ad esempio Pascoli, la scaturigine di buona parte
della propria forza espressiva.
Rallegriamoci perché abbiamo davvero un grande poeta nel Mugello
alcune selezioni dalla raccolta Eleganze 2005;
introduzione di F.Manescalchi a "il respiro del
giorno, il respiro della notte"