Pirandello e l‘ Europa
di Cacciapuoti Gina Ceseri Silvia Malevolti Margherita Tagliaferri Andrea Luigi Pirandello è oggi un autore "europeo" e "mondiale",uno dei pochi ,e forse l’unico autore italiano del Novecento a dare luogo ad un aggettivo universalmente riconosciuto: "pirandelliano" che è ormai ovunque un certo modo di fare letteratura,di concepire i personaggi ,gli intrecci ,la vita stessa. Proprio per questo bisogna attentamente distinguere tra l’influsso esercitato storicamente da Pirandello in certi periodi e contesti nazionali ,e la sua presenza diffusa nella letteratura e nella drammaturgia mondiale .Nei primi due decenni del secolo erano state tradotte un po’ ovunque sue opere di narrativa,una selezione più o meno vasta di novelle,per esempio,e almeno Il fu Mattia Pascal ;ma è negli anni Venti che il nome di Pirandello si diffuse rapidissimamente sulle scene europee ed extra-europee diventando quasi una leggenda.George Bernard Shaw dichiarò già allora che i Sei personaggi erano l’opera più originale e meglio riuscita del teatro occidentale.Molti anni dopo , in una inchiesta sul teatro francese, Georges Neveux dirà a proposito dello stesso lavoro : <senza Pirandello […] non avremmo avuto né Salacrou, né Anouilh, né oggi Ionesco né tanti altri.Tutto il teatro di un’epoca è uscito dal ventre di questo lavoro>.E questo vale non solo per la Francia o per l’Europa.Numerosissime furono le rappresentazioni in America latina.Negli anni Venti e Trenta Pirandello fu il pezzo forte del repertorio dell’Alhambra cubana,celebre teatro cosmopolitico dell’Avana e l’ispiratore dei rinnovatori della drammaturgia mondiale,tant’è vero che è impossibile per uno scrittore di teatro occidentale contemporaneo scrivere un dramma non rifacendosi a Beckett, Kafka e Pirandello. Pirandello rappresenta insomma nel mondo una delle due versioni della modernità italiana, ed è appunto in questa veste che egli,parlando con un giornalista nel 1926, si contrappose a D’Annunzio quale continuatore della tradizione classicista: «"Che cosa pensa del Suo connazionale Gabriele D’Annunzio?" –"Penso che sia l’esatto opposto di quel che sono io.Egli è interamente posa e pathos,e quiete interpretata in senso classico.Per quel che mi riguarda,sento di appartenere alla pulsante vita moderna."». In Francia, a Parigi, i Sei personaggi in cerca d’autore ,nella traduzione di Benjamin Crèmieux (Six personnages en quête d’auteur),furono messi in scena,alla Comèdie des Champs-Elysèes,il 10 Aprile 1923 da Georges Pitoëff.L’unica altra opera di Pirandello rappresentata prima dei Sei personaggi,Il piacere dell’onestà (La voluptè de l’honneur),era stata in cartellone l’anno precedente insieme con l’Antigone di Cocteau.I giudizi positivi delle recensioni,nelle quali si paragonava l’autore a Shaw,restavano però ad un livello superficiale,e leggevano la pièce in modo soprattutto tematico,mettendo in luce, per esempio,l’originale svolgimento del triangolo sentimentale. Di tutt‘altro genere la reazione alla messinscena dei Sei personaggi,che fu davvero memorabile.Si diffondevano in quegli anni la moda freudiana,il dadaismo,il surrealismo(il primo manifesto di Breton è del 1924):e l‘opera fu letta come un ’allucinazione onirica. I Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello sono quelli che ,usciti da un racconto delle Novelle per un anno, recitano sul palcoscenico di un teatro dove una compagnia di Attori tiene le prove per la messinscena del Giuoco delle parti.I sei personaggi sono il Padre,la Madre,la Figliastra,il Figlio,il Ragazzo e la Bambina,e si rivolgono al Capocomico perchè porti in scena il loro dramma,rimasto sospeso a metà tra l’ispirazione del poeta e la vita dell’arte,perché egli insomma completi quanto l’autore ha lasciato interrotto.Ciascun personaggio ricostruisce così la propria vicenda,sovrapponendosi al racconto altrui,lasciando emergere una vicenda scabra e sofferta.Nella prefazione ai Sei personaggi in cerca d’autore,Pirandello ha così sintetizzato i temi fondamentali della sua visione: L’inganno della comprensione reciproca fondato irrimediabilmente sulla nuova astrazione delle parole; La molteplice personalità d’ognuno secondo tutte le possibilità d’essere che si trovano in ciascuno di noi; Il tragico conflitto immanente tra la vita che di continuo si muove e cambia e la forma che la fissa Immutabile. A proposito di quest’ultimo punto,secondo la concezione di Pirandello,l’uomo partecipa di un sistema di convenzioni sociali che ne condizionano l’espansione vitale.Ciascuno è costretto,suo malgrado,ad assumere tante "forme" o "maschere" quanti sono i ruoli che gli vengono imposti dagli altri,facendone così derivare una condizione esistenziale perennemente alienata e inautentica,il dramma di un’identità infinitamente mutevole in quanto dipendente da un giudizio estraneo e relativo,cui consegue un’aspirazione sempre frustrata ad appropiarsi di un’identità diversa. A questo proposito bisogna citare la grande influenza sull’immaginario,sulla letteratura e sull’arte che ebbe lo studio dell’inconscio fatto dal medico viennese,Sigmund Freud (1856-1939),l’inventore della psicanalisi.L’identità individuale e il concetto stesso d’integrità del soggetto entrano in crisi.L’uomo appare nel profondo diviso fra una zona inconscia,che emerge nei sogni,nelle nevrosi,nei lapsus e in cui dominano pulsioni,perlopiù rimosse,di cui non è cosciente,e una zona consapevole,in cui valgono la ragione e la volontà.Queste ultime risultano di necessità limitate e condizionate.Secondo Freud, la vita psichica cerca un difficile equilibrio fra tre istanze diverse: la più segreta, l’Es, comprende gli impulsi irrazionali e istintivi; l’Io è l’esigenza di equilibrio e di organizzazione della personalità;il Super-io riflette,in modi in parte consapevoli e in parte inconsapevoli,le esigenze morali della famiglia e della società, interiorizzate durante l’età infantile e l’adolescenza.La ricerca di un equilibrio fra spinte opposte e fra contraddizioni laceranti è dovuta anche al contrasto fra principio di realtà (le norme morali ,sociali e civili della realtà esterna al soggetto) e il principio di piacere (l’esigenza individuale di affermazione ,di soddisfazione e digodimento),fra la repressione sociale, che opera la rimozionedei desideri,e la spinta delle pulsioni individuali.Insomma la vita psichica è vista come un campo aperto a tensioni.Ciò pone fine sia alla concezione classica dell’individuo come totalità compatta e integra ,sia a quella romantica che vede nell’anima il luogo dell’autenticità,della sanità della bontà (la parte inconscia della psiche è invece,per Freud,il luogo dei desideri ,dell’egoistica volontà di potenza e di godimento).Inoltre la scoperta della vita dei sogni,dell’onirismo,della logica simbolica dell’inconscio ebbe un’influenza decisiva sulle arti,sulle tecniche romanzesche del "flusso di coscienza" e sulla scrittura automatica del Surrealismo.La psicanalisi contribuisce ad arricchire anche la tematica letteraria.Oltre al motivo del sogno e della vita notturna dell’io che acquistano un risalto mai avuto prima nella storia umana,cresce anche l’interesse per l’infanzia come momento decisivo della formazione dei complessi nevrotici.Inoltre è significativo il fatto che tutta la ricerca di Freud muova dalla scoperta del complesso edipico,della rivalità fra padre e figlio per il possesso della donna (moglie\madre),con gli opposti desideri inconsci di castrazione del figlio da parte del padre e di uccisione del padre da parte del figlio.In questo tema,che emerge con forza all’inizio del secolo,si può cogliere,accanto a un contenuto psichico,anche un preciso risvolto storico.Freud è il maestro di una generazione in rivolta che tenta di uccidere i propri padri e di costruire un mondo del tutto nuovo ,giocando ora la carta politica della rivoluzione(il comunismo),ora quella artistica delle avanguardie.Il motivo dell’oppressione del padre e della rivolta figlio nei suoi confronti è presente in tutta la letterature primonovecentesca,da Kafka a Svevo,Pirandello e Tozzi. Dunque la psicanalisi freudiana ha rivoluzionato il pensiero umano.Tale rivoluzione ha contribuito così ad una nuova visione anche nel teatro,specialmente per quanto riguarda la psicologia dei personaggi nel dramma pirandelliano.Ogni personaggio è infatti prigioniero della propria forma:il Padre di quel vergognoso episodio in cui è stato sorpreso;la Madre del suo dolore;la Figlia del suo disprezzo per il patrigno e della sua colpa;il Figlio del suo rifiuto;la Bambina e il Ragazzo della loro solitaria incompiutezza e della loro precoce sconfitta.Di fronte a loro il Capocomico e gli Attori sono inadeguati,inverosimili,imperfetti nella riproposta dei drammi,che si rivela ciò che realmente è ripetitiva imitazione.Gli Attori non possono rendere l’irrappresantabile che è il dramma dei personaggi.Ma è il teatro stesso,con i suoi schemi e le sue convenzioni,a rivelarsi incapace di rendere la profondità delle coscienze e la molteplicità del reale.In questo dramma non solamente è posto in discussione il processo creativo dell’opera d’arte,ma il mondo stesso della fantasia entra in conflitto con quello dell’arte.Il conflitto tra Vita e Forma configura una fondamentale "teatralità" di base del mondo di Pirandello.Parlare della Forma e della maschera che mortifica il fluire della Vita ,del "personaggio" come cristallizzazione della "persona" in una parte obbligata,significa infatti concepire il mondo in termini teatrali,rappresentarlo nella dimensione fittizia e convenzionale di una messinscena.La persona è l’individuo libero, non ancora sottoposto alle norme di qualsiasi provenienza esse siano;vede la realtà in maniera oggettiva e fonda la propria vita sulla convinzione,o perlomeno sull’opinione, che la realtà stessa venga vista e sentita allo stesso modo anche dagli altri.La persona libera e informe,può assumere una forma, costretta dall’esterno o spinta da un impellente bisogno interno.Il personaggio,invece, nella vita come nella fantasia creatrice dello scrittore è l’individuo fissato in una forma,che compie sempre gli stessi gesti per l’eternità o finchè non entra in un’altra forma. Il personaggio sottoposto a norme fisse e inderogabili, porta una tragica maschera, recita sempre le stesse battute portando un mondo di sentimenti che gli altri non avranno mai la forza di penetrare e di rivelare.La vera forma dell’esistenza è dunque quella del personaggio ,anche se nell’opera pirandelliana abbiamo un fluire continuo dalla persona al personaggio e viceversa.Tipico ad esempio è proprio il dramma dei Sei personaggi in cerca d’autore,nel quale troviamo la netta distinzione tra i sei personaggi e gli attori che non sono ancora entrati nella parte,che nulla rappresentano e che,soprattutto,non hanno alcuna forma. In generale possiamo affermare che nell’opera di Pirandello a una parte in cui vediamo agire individui che sono ancora persone,corrisponde una seconda parte in cui le persone assumono tutte le caratteristiche dei personaggi.La fantasia creatrice dello scrittore domina sui personaggi e non viceversa,come la natura domina sugli esseri umani e crea uomini e cose.La rivoluzione teatrale pirandelliana consiste in primo luogo nella proposta di un teatro di idee, cioè di un meccanismo comunicativo che, invece di esibire azioni drammatiche porta in scena il dibattito sul dramma stesso.I personaggi,anziché vivere la loro storia sotto gli occhi degli spettatori, li coinvolgono direttamente o attraverso la mediazione di altri ,nella problematica del vissuto.Così la parola si sostituisce all’azione e anzi per Pirandello è auspicabile che la parola "sia l’azione stessa parlata". E la scena diventa "tribuna", luogo d’inquisizine in pubblico,non più concepibile come uno spazio delimitato da un sipario.Se guardiamo allo scenario del teatro francese,stagnante dopo gli anni di guerra,il messaggio pirandelliano restituì,nel polveroso repertorio dei teatri del boulevard,l‘irruzione del nuovo e del moderno.Con la pirandelliana commedia da fare furono introdotti nel teatro le recriminazioni,le lotte tra i personaggi,i sofismi tortuosi,l‘implacabile indagine sotterranea nei misteri della creazione,la critica impetuosa agli istituti drammaturgici,la confusione tra realtà e finzione…ce ne era abbastanza per sconvolgere il pubblico e i recensori,tra cui Roger Vitrac e Antonin Artaud,fondatori del Théâtre Jarry.Nella memoria collettiva il linguaggio drammaturgico pirandelliano si identificò con la luce inquietante,verdastra,che riverberava sul montacarichi in cui,in fondo al teatro spoglio della Comèdie,scendevano muti e immobili,i sei personaggi.Certo,la fama di Pirandello non fu incontrastata;e non mancarono le accuse che ovunque hanno accompagnato la sua opera:cerebralismo,virtuosismo,buffonesco ecc,culminate nella velenosa definizione di Saint-Exupèry.Tuttavia fu forse proprio la consacrazione parigina(e le centinaia di rappresentazioni francesi di ben quattordici delle sue opere)a fare di Pirandello uno dei padri storici dell‘avanguardia,e l‘unico autore di teatro italiano entrato nel canone occidentale moderno(se si eccettua Dario Fo) e non si tratta solo della diffusione materiale dei singoli testi,o del successo di pubblico.Il linguaggio drammaturgico pirandelliano si riverberò su molti autori,che ne assimilarono e rinterpretarono l‘opera;le formule del ‘teatro nel teatro’,del ‘gioco delle parti’,dello ‘sdoppiamento del personaggio’,del ‘guardarsi vivere’ ecc pervasero,in varie e diverse declinazioni,il teatro francese tra le due guerre.Con autori come: Anouilh,Ionesco, Jean Genet e,a suo modo l‘antipirandelliano Beckett,ma soprattutto Camus, Sartre e Proust. Quest‘ultimo rompe decisamente con gli schemi della narrativa naturalistica e con quelli del romanzo tradizionale.La soggettivazione della prospettiva è totale: il tempo del racconto si identifica totalmente con quello della memoria individuale. "Longtemps je me suis couchè de bonne heure……"Con questo celebre incipit ha inizio il lungo cammino del narratore dal Tempo perduto al Tempo ritrovato. Fin da questo crepuscolare inizio della Ricerca il lettore si trova proiettato in una atmosfera sognante .Il narratore gli si presenta avvolto di oscurità,ai confini incerti tra il sonno e la veglia, chiuso in una camera buia ,la prima di una lunga serie che tutte, saranno punto privilegiato di osservazione e di percezione della realtà. Da questi spazi apparentemente chiusi, i suoi occhi non cesseranno di radiografare gli uomini e le cose,di narrare gli eventi: e, come uno straordinario testimone,egli continuerà a scandirli con il sottofondo del suo soliloquio,riconducendoli alla fine ad una unità che li trascende e che al di là di essi ne fa la storia del suo spirito.Anche in Pirandello ritroviamo questo straniamento del personaggio del quale esplicito esempio è l’episodio "Serafino Gubbio,le macchine e la modernità tratto da "Quaderni di Serafino Gubbio":«Guardo per le vie le donne….»rappresenta un atteggiamento proprio di chi non vive ma guarda vivere. Anche nel Il fu Mattia Pascal si presenta questo rivoluzionario ribaltamento del punto di vista:negli ultimi capitoli (il XVII-XVIII) Mattia Pascal è definito come "fu", cioè colui che per due volte è stato giudicato morto dai conoscenti.Egli ,tornato a Miragno,decide di rimanere come fuori della vita.Ormai Pascal è diventato personaggio,una maschera nuda:non vive più,ma guarda vivere.Pascal alla fine del libro annuncia di aver rinunciato a qualsiasi illusioned'identità ,sia individuale che sociale;ha capito insomma che l'identità non può esistere né,tanto meno,può essere garantita da uno stato civile,che semmai riduce l’uomo a maschera ,a forma. Non gli resta altro che porsi fuori dalla vita,in una condizione di estraneità e di distacco da ogni meccanismo sociale. Così termina infatti l’opera: « "Ma voi,insomma, si può sapere chi siete?" –Mi stringo nelle spalle,socchiudo gli occhi e gli rispondo:"Eh,caro mio…Io sono il fu Mattia Pascal"».Anche Proust com’è noto ha compiuto una specie di rivoluzione copernicana nel romanzo,proprio come Pirandello,Musil,Kafka,Joyce e tanti altri.La sua opera è incentrata su temi universali:il Tempo, la Memoria,l’Amore,la Morte,il primato dell’Arte ma sa anche penetrare con incomparabile acutezza di analisi nelle grandi e talvolta anche piccole passioni umane che straordinari personaggi vivono con grande intensità (Swann la Gelosia,la grande-tante e Rachel l’Invidia,ecc.). Tuttavia,pur muovendosi su questo sfondo che potrebbe condizionarli del tutto, essi si muovono liberamente, seguendo le loro sensazioni e i loro sentimenti fluttuanti, mutando ad ogni fase della loro esistenza.I personaggi sono reali quindi, esseri autentici, persone carnalmente vive e non astrazioni psicologiche,burattini di cui l’autore tiene i fili. Tra il parigino e Pirandello l’affinità è intensa: i personaggi da loro creati acquistano una vita propria e reale.Nei Sei personaggi il Padre dichiara al Capocomico:«Un personaggio,signore,può sempre domandare ad un uomo chi è.Perché un personaggio ha veramente una vita sua,segnata da caratteri suoi, per cui è sempre qualcuno.Mentre un uomo […] può non essere nessuno».Tali sono i personaggi in Proust,hanno una vita loro.L’autore non può comandarli,farli agire a suo piacimento.I personaggi di Proust sono dunque come quelli di Pirandello: sono qualcuno;hanno la loro personalità, il loro carattere,che l’autore,una volta che li ha creati non può alterare;egli non può più farli agire a suo piacimento,ma deve seguirli.Il Narratore quindi assume un ruolo di osservatore incomparabile,di testimone,scopre le sue creature insieme al lettore, le vede e le fa vedere diverse ad ogni successiva apparizione;e così l’opera fluisce come fluisce la vita.Una particolarità della Ricerca, come già accennato,è il contenuto temporale o tempo raccontato; questo è certamente prospettico,in un certo senso volto verso l’avvenire;vi si delinea perfino un percorso, dall’infanzia alla quasi vecchiaia,dalla vita sociale alla solitudine,fino alla morte.Questo cammino è però frantumato,attraversato da momenti retrospettivi;è questo che rende possibile la ricerca del tempo perduto.Il Tempo non è una successione di istanti progressivamente distrutti,ma un fluire continuo, nella coscienza di passato,presente e futuro;perciò può essere ritrovato, tramite la memoria involontaria, come esperienza vitale che dà espressione al presente.La vera storia è quindi memoria del passato custodita nella coscienza,il ritorno alla luce del passato è generato dall’insorgere casuale del trasalimento della memoria involontaria.Quando il ricordo involontario ci appare con un’improvvisa deflagrazione assolutamente indipendente dalla nostra volontà, il passato risorge restaurato,intatto,più luminoso e più vero di quando l’avevamo vissuto,e ci dà sensazioni di beatitudine,di arcana felicità che forse,al momento in cui lo vivevamo,non avevamo provato,distratti da presenze estranee o oppressi da una momentanea incapacità di cogliere l’attimo fuggente.Ma attraverso lo squarcio che il ricordo involontario schiude nella nostra coscienza,il passato risorge in un lampo nel presente:i due momenti si legano strettamente,si sovrappongono al punto di farci dubitare in quale dei due ci si trovi.Questa tecnica è usata anche da Pirandello,la forte analogia tra l’episodio della Madeleine di Proust e quello de’ Il furto da Uno,nessuno e centomila è molto significativa.Nel brano tratto dalla Recherche è appunto una Madeleine inzuppata nel té che fa riaffiorare alla mente del narratore il ricordo dell‘infanzia.«…e tutt’a un tratto il ricordo è apparso davanti a me.Il sapore era quello del pezzetto di Madeleine…».«…quando ebbi riconosciuto il gusto del pezzetto di Madeleine che la zia inzuppava per me nel tiglio […] la vecchia casa …venne come uno scenario di teatro a saldarsi…».Così è anche nel brano di Pirandello nel quale,la differenza di quello proustiano ,non è un sapore ma il "chiocciolare di una gallina" a risvegliare in Vitangelo il ricordo «…udivo come da un‘infinita lontananza […] il lamentoso chiocciolare di una gallina che aveva fatto l‘uovo,e che quel chiocciolio mi richiamò a una mia campagna ,dove non ero stato più fin dall‘infanzia…».In entrambi i brani il ritorno del passato si attua come resurrezione dell‘Io di un tempo,morto per i cambiamenti che ha vissuto in seguito:è l‘epifania in cui il tempo,come in un‘estasi,si ferma,ma da cui il tempo risorge.Anche Camus,allestendo il programma del Théâtre de l‘Équipe, pensò di mettere in cartellone ,oltre a Shakespeare e a Čechov,ben quattro drammi pirandelliani(Come tu mi vuoi,Quando si è qualcuno,Trovarsi,Questa sera si recita a soggetto),che,sviluppando l‘opposizione essere-apparire,rimandano tutti al capitolo del Mythe de Sisyphe sulla Comédie.Ma infinite sono le tracce dell‘influenza del drammaturgo siciliano sullo scrittore francese,dal problema dell‘esistenza inautentica dell‘individuo rifratto nel punto di vista dell‘altro,al silenzioso e straniato "guardarsi vivere" di Mersault nell‘Étranger,alla follia come strategia di sovversione nel Caligula,che ricorda l‘ Enrico IV.Quanto a Sartre,è evidente la parentela tra la gabbia in cui l‘individuo pirandelliano è costretto a rappresentare la sua parte,fissata per sempre nel ruolo stabilito da quello che il padre dei Sei personaggi chiama l‘«istante eterno»,e il sartriano «l‘enfer c‘est les autres».Non è difficile leggere in controluce,pirandellianamente,Huis clos (1944) o Les sèquestrès d‘Altona (1959),e non è difficile dimostrare che Pirandello ha anticipato, per non dire influenzato,molti problemi poi sistematizzati dall‘esistenzialismo.A Madrid la prima rappresentazione dei Sei personaggi,preceduta da quella del teatro Romea di Barcellona (dove aveva già riscosso un notevole successo il Berretto a sonagli),ebbe luogo nel dicembre 1923(cioè otto mesi dopo l’evento parigino),con la messinscena di Dario Niccodemi.Alle due repliche non assistette un pubblico numerosissimo,forse anche perché la pièce fu recitata in italiano;ma tutti gli intellettuali madrileni erano presenti,e recensioni e articoli occupavano i giornali e le riviste di un certo conto.Pirandello entrò subito in sintonia con le più importanti correnti di pensiero spagnole.In questa direzione vanno l’articolo Cervantes y Pirandello di Américo Castro e il saggio La deshumanizaciòn del arte di Ortega y Gasset,che introdusse per i Sei personaggi la formula del "drama de ideas",ovvero di un’arte astrattamente metaletteraria,che inganna le attese del pubblico deviando l‘attenzione dal dramma umano, rappresentato nell’opera, alla finzione in quanto tale,che demolisce e ironizza l‘intreccio primario.Dall’altro lato della barricata Miguel de Unamuno aveva già sottoposto a verifica su Pirandello,qualche mese prima della rappresentazione madrilena dei Sei personaggi (luglio 1923),la propria lettura calderoniana del Chisciotte (1905),esplicitando una identità di vedute tra i due riguardo alla metafisica del personaggio autonomo. L’altro epicentro del terremoto pirandelliano fu la Germania espressionista degli anni Venti,un ‚altro luogo di vorticose innovazioni ,mutazioni e sperimentazioni.I rapporti di Pirandello con la cultura tedesca erano solidissimi,fin dal tempo in cui (1889-1891) il giovane agrigentino,studente a Roma ,era emigrato a Bonn (forse non a caso Il fu Mattia Pascal apparve immediatamente in traduzione tedesca sulla rivista „Fremdenblatt",nel 1905;e soltanto più tardi,nel 1910,in Svizzera,in versione francese). Il secondo esilio cominciò nell’estate del 1928,ma questa volta a Berlino,dove Pirandello si trasferì con l’intenzione di promuovere il proprio teatro sia sulle scene sia soprattutto nella nuova industria cinematografica.Un arco di quaranta anni segna dunque il diagramma di una lunga fedeltà alla cultura tedesca che non fù certo senza conseguenze sull’opera pirandelliana,e in particolare su quella drammaturgica.Nelle recensioni ai Sei personaggi fu evocato il Gatto con gli stivali di Ludwig Tieck;si fecero pure i nomi di Schnitzler e di Wedekind.L’artefice della perfetta integrazione del capolavoro pirandelliano nel clima culturale tedesco fu Max Reinhardt. Dal genio russo-parigino dei Pitoëff,i Sei personaggi passarono al massimo esponente della drammaturgia espressionista tedesca.Un ver evento fu,il 30 Dicembre 1924,la memorabile prima di Sechs Personen suchen einen Autor nel nuovo tempio teatrale berlinese,Die Komödie,nel quale Max Reinhardt tenne l’opera,stando alle critiche,in miracoloso equilibrio tra la dimensione tragico-metafisica e quella grottesca-espressionista.In verità all’immenso scalpore suscitato da quella rappresentazione e dalle seguenti,non corrispose il favore della critica tedesca,che anzi fu in generale piuttosto pungente,probabilmente perché infastidita dalla messa in scena di quella antinomia forma\vita identificata come l‘asse portante dell’opera pirandelliana da Adriano Tilgher.Molti dei critici,pur riconoscendo l’originalità teatrale pirandelliana,ne sottolinearono allora la superficialità e la poca pregnanza filosofica;e tuttavia alcuni colsero il cuore della rivoluzione pirandelliana in quell’effetto di straniamento che minava alla radice l’illusione teatrale,ovvero quella drammaturgia dell’immedesimazione e della verosimiglianza che aveva dominato per secoli il teatro occidentale.In questi stessi anni il giovane Bertold Brecht andava elaborando i fondamenti di un teatro nuovo,epico,anti-aristotelico;ed è plausibile pensare che questo non sarebbe avvenuto senza la lezione pirandelliana. Infatti gia nel 1924 Brecht diviene dramaturg presso Reinhard, a Berlino, e impara non poco da testi e messinscena come la "Santa Giovanna" di Shaw, "Il servitore di due padroni" di Goldoni e da Pirandello con "I sei personaggi in cerca d’autore", tutti i testi di netta impronta antillusionistica.Brecht, ormai padrone dei suoi mezzi , scrive ora Mann ist Mann (Un uomo è un uomo,1926) che segna un altro passo avanti sulla linea del suo nuovo teatro e che si avvicina sempre più alle caratteristiche teatrali pirandelliane. La commedia è ambientata in un’India abbastanza inverosimile, dove lo scaricatore di porto Galy Gay, si avvia in un sempre più folle labirinto di concatenazioni più o meno casuali e termina in una dimostrazione paradossale ma non priva di mordente.Questa volta Brecht voleva dimostrare qualcosa di ben preciso (intercambiabilità e spersonificazione dell’uomo nella società moderna, diciamo di tipo borghese-capitalista-colonialista:altre e più gravi cancellazioni dell’individuo, in società di tipo opposto, Brecht non volle mai vedere), e lo faceva con la grazia lucida ed elegante di un giocatore di classe, usando dello strumento teatrale in maniera inusitata: scene staccate e ben concluse in se stesse, cartelli didascalici, l’uso da allora canonico, per lui, dei song, che fanno il punto, con scanzonato lirismo senza sbavature sentimentali, sulla tappa a cui si è giunti, sul perché del comportamento dei personaggi, sulla «morale» da trarre da ciò che si è visto e si vedrà.Quanto agli attori,( ed è su questo punto che le somiglianze con Pirandello si fanno più chiare),non devono mirare ad identificarsi col personaggio ma a «recitarlo», cioè a farcelo vedere con un certo distacco, a «citarne» i gesti e le battute, infatti l’attore pirandelliano o come in questo caso l’attore brechtiano, scriveva Walter Starkie nel 1926, «…non deve essere attore d’istinto o d’impulso, ma sempre analizzare freddamente i propri sentimenti.Deve essere pronto a vedere il personaggio dall’esterno, come in uno specchio…» É il così detto Verfremdungseffekt (effetto di straniamento o di alienazione), e serve , secondo l’intento brechtiano, a distanziarci da una realtà che ormai accettiamo acriticamente per troppa consuetudine.Vedendola con occhi nuovi, come un fatto insolito e ancora da spiegare, possiamo non solo goderla meglio, ma anche vedere che cosa, in essa, non funziona, e intervenire per modificarla.Uno dei dogmi di Brecht, infatti, è che i mali del mondo hanno cause ben identificabili e possono perciò essere aboliti. Far vedere attraverso il comportamento degi uomini, quali sono queste cause, e addestrare il pubblico sveglio e attento a scoprirle e a deciderne l’abolizione, è il fine precipuo di questo nuovo teatro.Dopo il 1924,Pirandello tornò in Germania e nei paesi di lingua tedesca più volte con le tournées del Teatro d’Arte.Nel 1928,come si è detto ,si fermò a Berlino,dove trascorse due anni di grande fervore e creatività,progettando nuovi drammi e un film dai Sei personaggi ,per il quale stese una sceneggiatura in tedesco (pubblicata nel 1929).Nel frattempo frequentava assiduamente la vita culturale e mondana,soprattutto notturna,berlinese,diventando uno dei protagonisti (e dei bersagli) della stampa tedesca,interessata alla sua arte ma anche alla sua vita.Il frutto di questa integrazione (Pirandello parlava bene il tedesco sin dai tempi di Bonn) è il nuovo dramma Questa sera si recita a soggetto ,nato proprio dall’analisi critica del mondo teatrale tedesco ,dominato dalla figura del regista e dal freddo tecnicismo di una perfetta macchina teatrale.Dopo la prima mondiale a,Königsberg,l‘opera fu un clamoroso fiasco nella capitale.Al pubblico berlinese non poteva piacere la demolizione della figura del régisseur,nella quale tutti identificavano il beniamino Max Reinhardt,cui pure il dramma era dedicato.Fatto sta che la serata del 19 maggio 1930 al Lessing-Theater di Berlino si trasformò,tra i fischi e le urla,in una disfatta che segnò il definitivo tramonto del mito pirandelliano in una Germania che aveva altro a cui pensare.Nello stesso anno Pirandello si trasferì a Parigi in un clima molto diverso da quello in cui aveva trionfato alla Comédie. I principali paesi di lingua anglosassone si distinguono, per motivi diversi, nel panorama tracciato fin qui. Fu proprio il successo della prima rappresentazione londinese dei Sei personaggi, nel febbraio 1922, a incoraggiare e promuovere l’esportazione europea e americana; e tuttavia Pirandello, capace, come si è visto, di interagire ai massimi livelli con i sistemi culturali francese, spagnolo e tedesco, non fece breccia in Gran Bretagna. La prima del Kingsway Theatre fu certo fortunata, e fece alquanto scalpore; ma troppo profonda era la distanza tra l’umorismo "pesante" e filosofico pirandelliano e lo humour inglese, senza contare la pruderie che ispirò il Lord Censore, spingendolo a opporsi alla rappresentazione dei Sei personaggi, che avrebbero "turbato gli animi" morigerati degli inglesi.Sia le repliche di questa e di altre opere, sia le traduzioni non furono infatti, da allora in poi, numerose.E’ forse proprio per contrastare questo stato di cose che l’Inghilterra produce ora la migliore rivista specializzata non italiana di studi pirandelliani, edita dalla British Pirandello Society, fondata a Bristol nel 1980 sotto il patronato di Harold Pinter.Il teatro di Pirandello sembra confinato ai ristretti recinti accademici più che affidato alla vita del palcoscenico, forse perchè, come ha sostenuto Clive Barker, già presidente della British Pirandello Society, in un paese pragmatico come l’Inghilterra «I conflitti di Pirandello si presentano come espressioni di autocompiaciuto disturbo mentale».Anche se è pur vero che il disinteresse inglese per i grandi nomi del canone letterario italiano non si limita al Novecento ed è dunque degno di considerazioni più generali.Diversissimo, e forse opposto, il caso degli Stati Uniti, paese in cui l’opera pirandelliana trovò una calorosa e duratura accoglienza. A New York il successo fu grande, gli intellettuali erano entusiasti, del primo volume di commedie furono vendute, in una sola settimana, cinquecento copie, e il Fulton Theatre, che ospitava le rappresentazioni, si chiamò addirittura, per quella stagione, Pirandello Theatre.Ma l’aspetto che più colpisce dell’avventura americana di Pirandello è quello economico.Il drammaturgo si accorse subito, pur con mai risolta ambivalenza di giudizi, della diversità della scena americana rispetto a quella europea: nel nuovo continente la cultura assume una funzione nuova, diventa una merce. Non si tratta soltanto del desiderio, pur ossessivo in Pirandello, di far soldi, ma della percezione di una trasformazione moderna della diffusione e della funzione della cultura, libri e spettacoli. Ed è infatti soprattutto alle immense potenzialità del mercato americano che guarda quando vede, dal suo osservatorio berlinese, la propria fama declinare in Europa. Fatto sta che Pirandello ebbe una notevole discendenza letteraria americana, se più o meno consistenti tracce del suo mondo e delle sue soluzioni formali possono essere individuate in una linea drammaturgica che va da Eugene O’Neill a Tennessee Williams, da Arthur Miller a Edward Albee. Appena tre anni prima della traduzione di Sei personaggi per la memorabile regia di Pitoëff nella stessa Francia,le tirature della Coscienza di Zeno e di Senilità furono bassissime; e Svevo ripiombò in un oblio interrotto da sporadiche iniziative.Probabilmente Svevo,per quella sua posizione defilata,è troppo lontano dall‘immagine italiana di tipo "istrionico" che abbiamo visto declinarsi,in tre varianti diverse ma tutto sommato solidali tra loro,cioè:Marinetti che svolge una funzione europea perché propaganda il Futurismo mediante numerosi viaggi all‘estero (anche in Russia),D‘Annunzio,che visse per un certo periodo in Francia,e soprattutto,Pirandello che,come abbiamo già visto,influenzò l‘evoluzione del teatro in tutta la cultura occidentale.Svevo e Pirandello propongono,nel primo venticinquennio del secolo,radicali soluzioni alternative,simili a quelle sperimentate da Joyce,Proust e Musil.Soprattutto Svevo,con la Coscienza di Zeno,pone il romanzo italiano all‘altezza di quello europeo d‘avanguardia.Questa capacità si spiega anche con la particolare formazione culturale di questi due autori,nella quale un peso rilevante assume il confronto con la cultura tedesca:Svevo visse a Trieste,che apparteneva,sino al 1918,all‘impero austroungarico;Pirandello invece trascorse un periodo di studi a Bonn.I nuovi temi,proposti dalla riflessione freudiana,come la scoperta dell‘inconscio,la crisi dell‘identità individuale,il motivo dell‘inettitudine,il confronto-scontro con il padre permeano in misura diversificata l‘opera dei due grandi autori italiani.Tra più note dottrine freudiane:quella relativa al così detto complesso di Edipo che prende il nome dalla mitica vicenda del personaggio greco,destinato dal fato a uccidere il padre e a sposare la madre,si riscontra più frequentemente nella produzione letteraria del Novecento consiste nell‘attaccamento "libidico" verso il genitore di sesso opposto e in un atteggiamento ambivalente verso il genitore di ugual sesso e,a seconda della sua risoluzione o meno,si determina la futura strutturazione della personalità.L‘invenzione del tema mitologico era apparsa enigmatica,così come lo era l'effetto sconvolgente della sua raffigurazione poetica,nonché l'essenza della tragedia del fato in genere,ebbene tutto infatti nella tragedia di Edipo era stato colto,nella pienezza del suo significato affettivo,una legge generale dell'accadere psichico.Fato e oracolo non erano altro che materializzazioni di una necessità interiore.Quindi é proprio nel Novecento che,motivi psicologici e sociali si coagulano attorno alla figura del padre:un padre autoritario e incombente che rappresenta la sicurezza borghese ma anche anche la sua intrinseca vuotezza,impersona la forza della legge e dell'autorità ma spesso anche la sua insensatezza,e rafforzano il senso di impotenza ,di inettitudine,di malattia del figlio.Siamo quindi di fronte a una generazione di scrittori caratterizzata da Pirandello,Svevo,Tozzi e Kafka,che vogliono rompere con la tradizione e uccidere i loro padri ottocenteschi.Proprio la Coscienza di Zeno,è un romanzo psicoanalitico,nel senso che senza la psicanalisi non sarebbe mai stato scritto.Suddiviso in sette capitoli e preceduto da una prefazione si presenta come una memoria inviata da Zeno stesso allo psicanalista che lo ha in cura,il dottor S.Costui, non ha trovato di meglio che indurre il suo paziente a scrivere una storia della sua malattia,e se ne scusa nel breve capitolo iniziale intitolato Prefazione (« gli studiosi di psico-analisi arricceranno il naso tanta novità»);egli spera che una simile attività sia un «buon preludio per la psicanalisi»,ma viene deluso da Zeno che abbandona il trattamento.In Zeno opera particolarmente forte la rimozione che comporta l'allontanamento dalla coscienza degli eventi più traumatizzanti.Essi vengono deposti nell'inconscio,dal quale riemergono mascherati nel linguaggio oscuro e simbolico dei sintomi,dei lapsus.Di particolare importanza è l'episodio dello schiaffo del padre del capitolo "la morte di mio padre" dove la genesi edipica della malattia viene inequivocabilmente suggerita al lettore,anche se Zeno si ostina a negarla :si narra anzitutto una vicenda di ostilità tra padre e figlio,nascosta,con il tipico procedimento della rimozione freudiana ,dietro l' "amore"che secondo il senso comune deve necessariamente esistere tra il figlio e il genitore:poi si rappresenta la tremenda esperienza di Zeno che riceve uno schiaffo dal padre poco prima che questi muoia.Con ogni probabilità il gesto del vecchio malato è dovuto solo a motivi fisiologici in quanto,quando si levò in piedi lasciò cadere involontariamente la mano sulla guancia del figlio.Tuttavia Zeno non può fare a meno di interpretarlo come l'estrema punizione che il padre ha voluto infliggergli.Éirrivelante per Zeno stabilire se lo schiaffo fu dato dal padre coscientemente o meno,e il suo interrogarsi in proposito è inutile ,dal momento che comunque il suo senso di colpa non si attenua.Le mani del padre tornano come tema anche in Uno,nessuno e centomila come apparizione perturbante.Vitangelo pensa di compiere un furto a se stesso(la banca,in fondo,gli appartiene), in realtà compie un furto al padre e alla sua immagine sostitutiva,Quantorzo.L'aggressività contro la figura paterna,sottesa a tutto l'episodio,provoca in lui un'ansia angosciosa.L'angoscia per l'aggressione e per il conseguente senso di colpa è tale da provocare un desiderio di autodistruzione («desiderai proprio di morire»).Questa ansia si materializza nella visione allucinata delle mani del padre.Esse si accampano da sole sullo scenario della memoria ,staccate dal corpo,parte mostruosa separata dal tutto e perciò sinistramente perturbante cioè non familiare.Il particolare ,scisso dall'insieme é ingigantito attraverso la tecnica espressionistica della "zoomata".Il perturbante si ha quando un oggetto o un animale o una parte del corpo umano che ci sono familiari si presentano in circostanze diverse dalle solite,diventando così ragione di angoscia e di paura.In questi casi gli oggetti assumono una funzione simbolica,nel caso delle mani ,simboleggiano il potere del padre.L'effetto perturbante viene prodotto quindi ,nel caso delle mani,dal fatto che esse appaiono scisse dal corpo e dunque in una situazione innaturale.Dopo la visione delle mani e la memoria involontaria,compare nel brano una terza apparizioneproveniente,questa volta,non dal piano della memoria e dell'immaginazione,ma dalla realtà ;quella di uno scarafaggio che sbuca da sotto lo scaffale .Il perturbante si materializza in una immagine concreta.Di colpo Vitangelo balza sopra l'insetto e lo schiaccia.Moscarda ha distrutto l'immagine di sé come usuraio che gli derivava dal padre.Il gesto simbolico dell'uccisione del padre è così finalmente compiuto ,e proprio là dove più forte e diretto era il suo potere ,nella direzione della banca.L‘immagine dello scarafaggio torna anche in Metamorfosi di Kafka dove è la coscienza della natura inferiore di Gregorio,vittima di una famiglia che lo adora ma che lui deve salvare dalla rovina con i suoi viaggi faticosi da commesso viaggiatore,che ha preso forma materiale in una creatura inferiore.Quindi Gregorio rappresenta il subordinato ,l‘impiegato che prende la mostruosa,ripugnante forma corrispondente al suo avvilimento.Abbandonato dalla famiglia,che non si cura più di lui e nemmeno più penetra nella sua sudicia tana,ridotto alla inazione,muore.Anche Gregorio,come tutti questi inadattabili,condannati a servire la vita in posizione di sottordine, ha il suo alibi di bellezza interiore,il suo attimo - almeno uno di compensazione – quando,commosso dal violino della sorella,si domanda se la sua vera sorte non sia ,non potrebbe ancora essere diversa da quella figurata e come rappresa in quella forma di insetto.La storia dell‘impiegato di Kafka si può veramente raccontare ,perché il complesso di Gregorio si è veramente incarnato in qualche cosa di abnorme e di visibile.Prima di diventare coscienza,di tradursi nelle parole consapevoli: -io sono un servo della vita,abbietto agli occhi di tutti e prima ancora di me stesso – l‘inconscio ha generato la figura palpabile,irrefutabile di quell‘abbiezione,di quel bisogno di rivoltarsi in una tana,che abbiamo riscontrato anche nel Leopoldo di Tozzi in Ricordi di un impiegato.La corposità di quell‘immagine vivente genera un susseguirsi di azioni,fino alla catastrofe che è anche una catarsi.Gregorio ha inconscientemente solidificata la propria immagine immonda e poi ne ha liberato il mondo con la propria morte.Abbiamo qui netto il decorso tipico della tragedia ,dove regolarmente un protagonista è costretto dagli eventi ad aprire gli occhi a prendere coscienza del proprio fato fino ad espiarlo con la morte,liberando così il mondo dalla necessità superiore agli uomini e agli stessi dei,che li ha spinti alle loro facinorose azioni,perturbatrici dell‘ordine e della vita.La morte di Gregorio,l‘insetto,è davvero la morte di un eroe:ci riempie della stessa umana commozione,solidarietà con la vittima,terrore e sgomento,che diventano libertà e gioia attaverso quel sacrificio.Supponiamo che Tozzi a vesse fatto morire il suo Leopoldo in cui possiamo identificare la situazione dell‘inguaribile impiegato della vita,sarebbe stata una prova di più del suo destino avverso,magari della sua incapacità di vivere ma non ci avrebbe liberati da quell‘incubo che è stata la sua esistenza.Quella di Leopoldo rimane una storia che non si risolve;d‘altronde ,anche tutti i particolari episodici attraverso cui si articola rimangono irrisolti. Tozzi,in apparenza il più provinciale é uno dei più incolti tra i suoi coetanei tanto più celebri di lui,è l‘unico a lavorare in sincronismo involontario ,inconsapevole con gli artisti ,tutti stranieri,se si eccettua Pirandello,che stavano compiendo una rivoluzione nell‘arte occidentale.Tornando a Kafka potremmo dire che anche i suoi romanzi e racconti sono fondamentalmente avventure di qualcuno condannato a vivere "con gli occhi chiusi ".La grandezza di Kafka va collegata anche al sentimento preciso che questo scrittore ebbe di raffigurare la cecità a cui l‘adepto è condannato nel suo sforzo di compiere il processo che dovrebbe portarlo a « vedere ».Nel centro segreto e motore dell‘opera di Kafka troviamo la famosa Lettera al Padre che sta all‘opera kafkiana come la scena della castrazione al romanzo Con gli occhi chiusi ,e questo romanzo all‘insieme dell‘opera tozziana.Anche la Lettera al Padre è la denuncia, o meglio la confessione ,di un complesso edipico.La forza di Kafka è anche nella straordinaria lucidità con cui analizza sul versante del visibile,con calmo furore e fredda infiammazione,ciò che proviene dalle spinte e dai travagli inconsci.Il fenomenale paradosso di Kafka è che egli ha tutta l‘aria di portare alla propria e alla nostra coscienza qualcosa che continua a operare,a lavorarlo con l‘intatta forza dell‘inconscio;egli visualizza,fa toccare con mano quell‘invisibile,che pure serba la sua specifica proprietà di esistere,di poter continuare a esistere ,solo a patto di serbarsi invisibile.Tutto diverso in questo il caso di Tozzi,il quale ci dà una fenomenologia poetico-narrativa della situazione dell‘uomo che non vede ,e mostra e rappresenta a occhi chiusi ciò che gli toglie la facoltà di vedere:ci fa insomma vedere ciò che,per definizione egli non riesce a vedere.Nella Lettera al Padre la figurazione solidale della madre che il figlio costruisce, facendosene un argomento di accusa, di condanna contro il padre, è come vittima.Questo padre che si è tenuto per sé tutta la forza virile, fino al punto di privarne il figlio per eliminarne la concorrenza, soddisfa questa sua potenza su tutte le donne.Questa pietà ,solidarietà del figlio verso la tradita, questa offesa severità contro il padre adultero, l‘abbiamo vista anche nel romanzo Con gli occhi chiusi e in quel parziale abbozzo del romanzo che è il giovanile racconto La madre.Nella lettera di Kafka una delle grandi accuse mosse al padre è di far fallire tutti i fidanzamenti tentati,sperati dal figlio.Appunto perché il padre si è riservato tutta la potenza virile,tutte le donne,tutti gli amori competono a lui di diritto;il figlio è messo psicologicamente in condizione di impotenza, nell‘impossibilità morale di arrivare al matrimonio.Con gli occhi chiusi è la storia di un amore e poi proprio di un fidanzamento andato tragicamente a monte,perché Pietro pretende che il suo amore con la già corrotta Ghisola rimanga un sentimento casto,quando la ragazza non chiederebbe che il contrario,e forse anzi si riscatterebbe se fosse virilmente signoreggiata:questa stessa pretesa dipende dalla cecità di Pietro,da quella mutilazione della vista che gli è stata inflitta dal padre.
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