TEATRO E CINEMA NELLA SCUOLA

OLTRE IL LABORATORIO

 

1.      Il teatro

   Gli adolescenti- che hanno spesso problemi di sicurezza, di identità, di rapporti costruttivi con gli altri – traggono sicuramente dalla pratica teatrale benefici effetti a livello di socializzazione, di autodisciplina, di consapevolezza di sé, di autostima ecc. Questa è una ovvietà che nessuno può mettere in dubbio. Tanto è vero che tutte le scuole superiori d’Italia sostengono e finanziano al loro interno un laboratorio teatrale che coinvolge ogni anno un numero elevato di studenti.

Ma proprio perché tutti siamo convinti dell’importanza di questa attività nel contesto della scuola, si dovrebbe forse incominciare a discutere proprio da un interrogativo  che può sembrare ovvio ma che forse non è stato ancora affrontato nella sua complessità: siamo sicuri che il teatro abbia veramente esplicato tutte le sue potenzialità formative? Che sia  riuscito a sfruttare pienamente tutte le risorse creative che la scuola potrebbe offrire?

Domanda che poi ne sottende un’altra, più generale: quale dovrebbe essere la funzione del teatro nella scuola?  (dove il complemento di luogo acquista un valore decisivo e discriminante).    Riesce a integrarsi in un progetto didattico di ampio respiro o rimane confinato in ore extracurricolari senza rapporti con le problematiche culturali sviluppate nelle ore curricolari?  A queste domande ogni scuola risponde in modi diversi, e non mancano certo esempi di proficua integrazione anche sul piano didattico, come dimostrano certe esperienze raccontate efficacemente da Claudio Facchinelli  nelle sue cronache mensili su “Sipario”. 

Da varie esperienze dirette e indirette si ha però l’impressione che nella generalità dei casi non si sia mai realizzata una vera integrazione tra scuola e teatro. Sembra anzi che sia in atto  un progressivo scollamento fra queste due realtà che, pur convivendo all’interno della medesima istituzione,  conducono vite sempre più parallele, con punti di contatto sempre più sporadici.

Il problema non è solo locale e non riguarda solo il “Giotto Ulivi” (che tra l’altro è una delle poche scuole in cui in passato si è visto qualche esempio significativo di integrazione), ma piuttosto generale ed esteso a tutto il territorio nazionale. Basta sfogliare le locandine di spettacoli partecipanti a varie rassegne (provinciali o nazionali che siano): sono rarissimi i casi in cui il testo drammatico risulti frutto di un lavoro didattico collettivo prodotto da  studenti. Nel 99 % dei casi si tratta di testi d’autore illustre oppure – quando si tratti di rielaborazioni o adattamenti o anche di testi originali -  firmati da un insegnante o da un regista.

Anche la scenografia è opera quasi sempre di una sola persona (adulta). Ancora più rare le musiche originali, o le esecuzioni canore e strumentali degli alunni.  Tale concentrazione “professionale”  ha fatto sicuramente innalzare il livello medio degli spettacoli, che appaiono sempre più curati nei particolari e che offrono spesso anche soluzioni molto originali a livello di regia, ma rimangono troppo spesso marginali quando non del tutto estranei al contesto scolastico in cui operano. 

  In questo modo gli studenti vengono sempre più espropriati di quelle che potrebbero essere per loro delle notevoli occasioni creative ed espressive, capaci di generare nuove competenze  e nuove forme di partecipazione.

Tanto per cominciare, la scrittura drammaturgica dovrebbe essere  proprio quell’attività capace di legare strettamente la didattica ordinaria all’attività teatrale. E’ un tipo di scrittura poco praticata nella scuola ma in realtà molto coinvolgente e capace di impegnare e di utilizzare, armonizzandole, tutte le diverse abilità dei ragazzi: creatività, analisi, sintesi, organizzazione dei dati, logica, proprietà lessicale. Il fatto poi di essere finalizzata  a un uso pratico (la recitazione) e non a una semplice verifica scolastica, è già di per sé capace di stimolare molte energie creative. Non è possibile inserire questa attività nell’ambito del laboratorio, se non altro perché richiede tempi lunghi di ideazione, progettazione, elaborazione, revisione, che si possono trovare solo in classe, in un lungo lavoro quotidiano.

Serve quindi una profonda riflessione,  se non si vuole che il teatro della scuola perda  il suo “specifico”, che poi consiste in un enorme retroterra  di potenziali risorse creative, che vengono sottovalutate anche dagli insegnanti, ma che solo la scuola possiede (e dovrebbe essere questo il suo punto di forza, e il suo carattere peculiare, anche rispetto al teatro amatoriale e a quello professionale).

La formula ideale per una buona integrazione sarebbe quella del partenariato, cioè un insegnante che crea insieme ai ragazzi un testo drammatico e un regista esterno che lo traduce in spettacolo. Una formula ideale che quando si è realizzata ha sempre portato qualcosa di nuovo sulle scene del teatro scolastico, anche perché consente di trovare il giusto equilibrio fra elaborazione drammaturgica originale e tecnica teatrale.  La quale – va ben sottolineato - rimane comunque assolutamente necessaria e ineliminabile, perché un teatro fatto da soli insegnanti senza l’ausilio di figure professionali  ben esperte dello specifico linguaggio della scena, rischia di diventare troppo scolastico e di tradursi in piatte drammatizzazioni di testi oggetto di studio curricolare.

   Perfino il Ministero dell’Istruzione, di solito non particolarmente rapido a recepire istanze innovative,  nel rinnovare il protocollo d’intesa con l’ ETI, raccomanda - in una circolare di accompagnamento – una maggiore attenzione al contributo degli studenti alla creazione dei testi teatrali. La circolare (del 23 marzo 2007) parla esplicitamente di un teatro che abbia come base un laboratorio di drammaturgia,  di un teatro in cui il prodotto finale sia l’esito visibile di un percorso educativo ed espressivo, parla del coinvolgimento degli alunni più problematici, parla soprattutto del partenariato, cioè di una collaborazione organica fra  l’ insegnante e l’ operatore teatrale, come della pratica più efficace e più formativa. Tutte indicazioni che nella nostra scuola si sono già realizzate ma in forme marginali rispetto al laboratorio “ufficiale”. Sarebbe quindi l’ora di domandarsi se non sia  giunto il momento di operare un salto di qualità, provando ad estendere queste pratiche a tutta l’attività teatrale della scuola.

Ma da dove iniziare per creare una maggiore integrazione?

L’insegnante coordinatore delle attività espressive potrebbe – per esempio - all’inizio dell’anno scolastico operare una specie di sondaggio per vedere se dalle classi può emergere qualche progetto drammaturgico, anche con un messaggio del tipo:

Caro collega,   Se nella tua programmazione didattica sono previste attività di scrittura teatrale o cinematografica, sei pregato di darcene notizia, e poi di presentare eventuali testi entro il…., in modo da avere il tempo di progettare e realizzare nel corso dell’anno  (o del prossimo) uno spettacolo teatrale e/o un cortometraggio, a cura del gruppo teatrale e/o  del gruppo di cinema che operano  nella scuola. Ecc…

  Ma anche l’operatore teatrale esterno potrebbe assumersi un compito di stimolo nei confronti degli insegnanti e proporre loro idee drammaturgiche da sviluppare: traduzioni, adattamenti o anche rielaborazioni originali di testi classici. 

   Per esempio: che bell’esercizio d’italiano sarebbe stato in una classe, o in più classi, invitare gli studenti a riadattare e a tradurre in un linguaggio chiaro e corrente un testo difficile come quello della “Donna serpente” di Carlo Gozzi rappresentato l’ anno scorso dal laboratorio teatrale!

    E che bell’esercizio linguistico sarebbe  tradurre in francese i testi da rappresentare ogni anno ai “Rencontres Théatrales Méditerranéennes”!  Anche perché non si riesce a trovare un solo motivo per cui soltanto il “Giotto Ulivi” debba recitare in italiano in una manifestazione tutta francofona, pur disponendo di oltre duecento alunni che studiano il francese.

E che dire poi della scenografia? Non si potrebbe coinvolgere un buon numero di studenti in questa attività? Tra l’altro il  nuovo teatro allestito nell’auditorium avrebbe proprio bisogno di fondali e di quinte che dovrebbero raffigurare almeno due ambienti-base: un interno (soggiorno o camera) e un esterno (piazzetta con due case ai lati) da arredare poi con suppellettili varie a seconda degli spettacoli. Tra i colleghi non mancano certo architetti e insegnanti di disegno che potrebbero collaborare a questo importante progetto.

Penso che valga la pena tentare questo progetto di integrazione, per consentire al teatro di esplicare finalmente tutte le sue potenzialità creative e non rimanere confinato solo alla sfera attoriale.

 

2.      Il cinema

 

Quello che si è detto per il teatro vale in buona parte anche per il cinema.

 Il cinema presenta, rispetto al teatro, un fattore che a qualcuno può sembrare un handicap, ma che in realtà da un punto di vista didattico costituisce un grande vantaggio e una grande opportunità: che non può attingere a copioni già scritti ma deve necessariamente crearseli su misura a seconda del filmato da produrre (a meno che a qualcuno non salti in mente di realizzare il remake di un film celebre).. Anche nel caso di un breve documentario di scienze naturali, è indispensabile scrivere un testo che abbia adeguate caratteristiche di sinteticità, chiarezza espositiva, proprietà di linguaggio. Nel caso di un corto di fiction è poi necessario scrivere un soggetto, un trattamento, una sceneggiatura programmata secondo tutte le regole narratologiche (intreccio, caratterizzazione dei personaggi, ordine e durata delle sequenze) per poi passare allo studio dei campi e dei piani espressivi, ai dettagli metaforici o metonimici, allo studio della luce e del colore ecc. In altre parole il cinema potrebbe diventare un potentissimo strumento didattico ed espressivo a largo raggio che potrebbe interessare praticamente tutte le materie (dalle scienze alla storia dell’arte) e che potrebbe fornire strumenti di analisi e di rielaborazione personale anche dei testi letterari (non è un caso che la narratologia di orientamento strutturalista e semiologico si avvalga di una terminologia chiaramente cinematografica).

 Il modo in cui si sono svolti negli ultimi anni i corsi di video-cinema non è tuttavia soddisfacente e presenta difetti strutturali ancora più vistosi rispetto a quelli già evidenziati per il teatro.

In primo luogo l’iscrizione volontaria di alunni provenienti da varie classi mostra i suoi limiti già nel numero ridotto di iscritti, inferiore a 10 che poi si riducono a quattro o cinque. Il numero limitato di ore del corso stesso permette solo l’acquisizione dei minimi strumenti tecnici di ripresa con videocamera digitale e di montaggio con software dedicato. E’ anche vero che i pochi partecipanti (proprio perché pochi) hanno modo di impadronirsi in modo abbastanza sciolto dei meccanismi essenziali e si appassionano sempre più a questa attività, ma non hanno poi modo di realizzare filmati di un certo impegno culturale, ma solo filmati di esercitazione.

Non risulta quindi economico per la scuola pagare un esperto esterno per un numero esiguo di ragazzi,. Tant’è vero che nell’anno 2006-2007 il corso non si è svolto, e quest’anno è stato tenuto – gratuitamente – da uno studente di quinta a cinque soli allievi.

Ma un corso così organizzato, anche in presenza di un numero consistente di iscritti,  risulterebbe comunque poco economico da un punto di vista didattico. 

E’- beninteso- assolutamente necessario che nella scuola ci siano studenti che possiedono competenze tecniche adeguate, senza le quali non si può realizzare nessun filmato degno di questo nome (data anche la tecnologia informatica sempre più raffinata):  tali competenze risultano però sotto-utilizzate quando non addirittura sprecate se dalle classi non emergono progetti che richiedano l’uso di strumenti cinematografici (servizi giornalistici, inchieste sul territorio, documentari, cortometraggi di fiction ecc.). Come si è detto anche a  proposito del teatro, i progetti di un certo spessore culturale e di una certa rilevanza didattica possono nascere solo nel lavoro quotidiano delle classi, perché necessitano di adeguati tempi di maturazione che non si possono pretendere da  un corso eterogeneo e necessariamente breve (16-18 ore max), appena bastevole per impartire le minime competenze tecniche.

In presenza di validi progetti didattici, gli alunni del corso specifico potrebbero invece  costituire un valido supporto tecnico capace di aiutare le classi nella realizzazione di filmati e di trasmettere nuove competenze a un numero elevato di studenti.

Nella situazione attuale, però,  ritengo del tutto secondario e perfino irrilevante il fatto che qualche studente del corso si sia impadronito così bene delle tecniche cinematografiche da essere premiato in una rassegna nazionale di alto livello: molto gratificante a livello personale e a livello  d’immagine per l’istituto,  ma senza ricadute significative sul piano didattico e culturale della scuola. E allora, cui prodest?

 

 

3.      Conclusioni

 

 I laboratori “specializzati” (teatro, cinema) hanno avuto in passato- e in parte hanno ancora - una notevole importanza in quanto hanno introdotto nella scuola attività che presentano un notevole potenziale formativo, che hanno sicuramente ampliato gli orizzonti e le  capacità espressive di un numero elevato di alunni. 

Si ha però l’impressione che i laboratori si siano arrestati poco oltre il perimetro della scuola, in una sorta di dépendance poco comunicante con la “casa”, accontentandosi di questo diritto di cittadinanza acquisito (che offre peraltro anche un notevole grado di autonomia), ma senza porsi il traguardo più ambizioso di interagire con la didattica ordinaria in un  circuito integrato di ricerca espressiva capace di coinvolgere un più alto numero di soggetti, di competenze, di attitudini.

Eppure, se si vuole dare al teatro e al cinema  uno spessore culturale e formativo di più ampia portata, se si vuole che queste attività siano veramente espressione della scuola e non si limitino ad essere solo nella scuola, è necessario intraprendere un lungo lavoro di coordinamento che nel tempo, attraverso vari esperimenti, potrà portare  a una vera integrazione.

 

Giuseppe Parrini

beppar@tiscali.it