Libreria Edison

Piazza della Repubblica, Firenze

 

7 ottobre 2oo2,ore 21

 

Intervento del prof. Ruggero Stefanini

Università di Berkeley, California

in prima fila alcuni studenti con la regista Anna Scalabrini. Tra il folto uditorio anche il preside Calogero Bellavia con diversi insegnanti del Giotto Ulivi e delle scuole medie di Borgo San Lorenzo

Maria Luisa Vallomy tra i prof. Tanturli e Stefanini

 

 

Dopo aver dichiarato il piacere di trovarmi stasera qui, a quistionar di lingua, in amichevole e congeniale compagnia ( sembrerebbe d’esser quasi nella cornice d’un Trattatello cinquecentesco…),

vorrei sottolineare, del libro che ci ha radunati (Succiole al fuoco di Maria Luisa Vallomy  Bettarini ), la tempestività e la rilevanza. La prima qualità è data dal tempo dell’intervento, la seconda dall’importanza del materiale elaborato.

Tempestività. Assentatomi da Borgo S.Lorenzo, anche come ambiente socio-linguistico, fin dagli anni Sessanta e rientrandovi d’altronde con frequente periodicità per visite più o meno lunghe, mi son quasi trovato, data anche la mia preparazione (e, quindi, la mia attenzione) linguistica, nella posizione di un medico al quale di anno in anno si presentasse un paziente per l’usuale visita di controllo.Per tutto quest’arco di tempo, il mio paziente (già l’avete capito) è stato il dialetto o la parlata di Borgo San Lorenzo e,in più ampia accezione, di tutto il Mugello.Questo mio paziente io l’ho visto ora rapidamente invecchiare  (non che anch’io nel frattempo sia ringiovanito…),sbiadirsi, perdere verve ed umori –fuor di metafora,standardizzarsi. Si potrbbero distinguere in questo processo addirittura delle fasi, etichettandole, ad esempio con il progressivo cedimento della costruzione interrogativa: (1) la nipotina che oggi chiede italianamente Chi era?; (2) la madre popolana che ancora dice Chi gli era?;(3) e la nonna contadina cui può ancora sfuggire un inquisitivo O cchi er’egli? Non possiamo illuderci quindi con pii desideri e facili speranze: il nostro paziente è ormai pronto per il cronicario, ragion per cui,se non vogliamo che se ne perda la memoria, è tempo (o era già tempo)di intervistarlo, di farlo parlare, lasciando magari il ruolo del medico per assumere qurello del notaro, che annota appunto per preservare—per arricchire,in certo modo, il futuro con le risorse del passato. Il parlante non può infatti appiattire la propria esecuzione fino ai limiti del meccanico e dell’antisettico: il parlante ha bisogno di registri situazionali e psicologici; gli occorrono,cioè, delle riserve di espressività. Dove non esistano più dialetti storici a fornirgliene, il parlante finisce col ricreare e col promuovere altre alternative allo standard. Di qui la pressione oggi esercitata dall’argot e dallo slang sui livelli medi, rispettivamente, del francese e dell’angloamericano  (ma anche l’ispanoamericano non scherza). 

Proprio a questo punto, quando, com’è da noi, il lessico paesano, pur essendo ormai largamente rimosso dall’esecuzione,non è ancora dimenticato (resta cioè sedimentato nella competenza), la ricognizione della Vallomy si configura, non come mero esercizio di antiquariato linguistico, ma come occasione e proposta di di effettivo ricupero: non impoverite ulteriormente il vostro vocabolario italiano! Non lo sradicate da questo humus regionale che vi compete e che può anzi mantenere flessibilità e sapore alle vostre scelte lessicali. Ora Maria Luisa ha avvertito per tempo l’urgenza di questa operazione, volta a mantenere contatto e continuità con la lingua delle generazioni immediatamente precedenti, da quando, allertata anche dalla sua esposizione a vari dialetti (franco-provenzale di Val d’Aosta, lombardo arcaico del Canton Ticino,veneto di Conegliano), cominciò a notare nei componimenti dei suoi allievi mugellani parole che i dizionari scolastici non registravano o non bastavano comunque a spiegare. Si arrivò così al “vecchio ciclostilato” da cui parte la Premessa di Pietro Mercatali, ossia alla  “ricerca” intitolata Una parlata che scompare, realizzata dalla I Media, sezione F, nell’anno scolastico 1978-79, su iniziativa e a cura della Prof.Vallomy Bettarini. Ma questo non è stato che il principio.  

Tempestività dell’operazione, si diceva; ma anche importanza, proprio nei confronti dell’italiano standard, di questo nostro fiorentino del Mugello. Il mugellano è un fiorentino ben conservato, ossia di tipo arcaico, perchè, data la sua posizione geografica (a Nord-Est), si è difeso meglio dello stesso fiorentino di città dalla spinta e dalle infiltrazioni del toscano occidentale (quello del Vernacoliere , per intenderci), che è oggi nella nostra regione la varietà dialettale più marcata e più dinamica—in fase, potremmo dire,  di espansione. In secondo luogo, proprio la varietà mugellana, con i Medici di Cafaggiolo e con i fratelli Pulci, entra come componente di indubbio rilievo nella produzione letteraria di quell’umanesimo volgare ( e non solo villereccio),  a cui tanto deve anche l’italiano d’oggi. Sarà anche per questo che intere frasi di lettere di viaggiatori fiorentini del secondo Quattrocento mi sembravano dettate da mio nonno, e non a caso la Vallomy ha potuto estrarre il suo titolo da una lettera di Luigi Pulci (si consulti del resto,a questo proposito, il Glossario delle parole mugellane entrate ( o comunque riscontrabili) nell’uso letterario,pp.107-133). Questo poi anche per dire che fra l’italiano standard e il mugellano non possono esserci fenomeni di rigetto:si tratta dello stesso ceppo, ed il nostro quotidiano linguistico, specie per quanto riguarda il lessico,può pertanto essere agevolmente riimmesso in circolazione per corroborare, e quasi legittimare, anche le nostre esecuzioni a livello standard.

Nell’ambiente mediterraneo il grosso della lingua è stato sempre portato dalla società contadina, ossia dai parlanti di una cultura prevalentemente agricola. Sta di fatto che le stesse lingue romanze, pur rifacendosi al latino, continuano, più specificamente, un sermo rusticus, e non quello che era stato il sermo urbanus delle cerchie gentilizie. Nella sua  indagine, la Vallomy Bettarini si orienta pertanto sulla casa colonica, ossia sull’operosità stagionale, sulla domesticità quotidiana,sulla religiosità liturgico-folclorica delle nostre famiglie contadine, dando giusto risalto, attraverso le rievocazioni della Marisa, al ruolo e alla terminologia delle donne , che  anche in quest’ambiente rustico costituiscono un versante di imprescindibile complementarità.

Parlata è termine che, ancor più di dialetto, mantiene, accanto a quella linguistica, una valenza socio-antropologica.E’ quindi naturale che espressioni caratteristiche, modi di dire, proverbi,cantilene – insomma,tutto il prezioso materiale raccolto—si trovino distribuiti nel libro in coaguli tematici ( i figli, il lavoro,ecc.) o di genere (devozioni serali, scongiuri ,ecc.). Il toponimo posto puntualmente fra parentesi dopo ogni citazione (Vicchio, Luco, Sagginale, ecc.) vuol ovviamente indicare il luogo di prelievo, e non l’area di diffusione dell’enunciato in questione, la  quale è spesso molto più ampia.

Proverbi, cantilene, espressioni idiomatiche, sono anch’essi dei microtesti che ovviamente presentano problemi di trasmissione e di edizione, tanto più difficili da affreontare per la loro stessa condizione d’oralità. Sappiamo infatti che l’oralità non solo non lascia documenti scritti sul suo percorso di diffusione, ma anche dispone-anzi, sollecita- il parlante tanto alla variazione formale quanto a slittamenti e conversioni di senso. Non c’è quindi da meravigliarsi se i lettori mugellani potranno in più di un caso citare varianti generazionali od areali in margine ai lemmi e alle definizioni di queste voci. L’importante è aver saputo cogliere e raccogliere ancora in tempo queste differenze, d’ordine ben più rilevante (da mugellano, cioè, a italiano standard), le quali garantiscono la nostra identità linguistico-culturale in seno all’Italia e all’italiano d’oggi.

Il libro (non si può tacere) è stato anche arricchito dall’opera di vari artisti sia dell’obiettivo che del lapis o del carboncino, quali Mario Calzolai, Carlo Adini, Federigo Bencini,  Patrizia e Luciana Gabellini: essi hanno secondato con intendimento e con amore, possiamo dire, quanto la pagina scritta veniva ordinatamente esponendo ed evocando.