LA TV
Da quando il ‘bianco e nero’ ha lasciato il posto ai colori, la televisione,
‘regina dei mass media’, è penetrata in ogni edificio e, senza risparmiare
nessuno, ha ottenuto un posto di primo piano nella vita di tutti noi italiani.
Molti studiosi si sono interessati al ‘fenomeno TV’, cercando di dare delle
risposte a numerose domande. Qual è il rapporto tra televisione e spettatori? Siamo noi che ci serviamo di lei,
o è lei a servirsi di noi? Ed infine -per utilizzare le parole di S. Zavoli- la
televisione è realmente ‘nostra padrona’? Cerchiamo, adesso, di analizzare sia
gli aspetti positivi che quelli negativi legati al mezzo di comunicazione in
questione.
Sulla scia di Popper che l’ha definita una ‘cattiva
maestra’, molti hanno criticato la mancata trasparenza delle informazioni
proposte dal medium. Non è una novità che dietro ai palinsesti ci sia la
mano del dirigente, spesso uomo politico che non si riguarda dal fare della
televisione un strumento di propaganda partitica. E quel che ancora è peggio, i
vari messaggi passano in forma occulta senza che lo spettatore ne abbia
coscienza. La motivazione di tale mancanza è da ricercarsi anche nei problemi
economici che determinano le scelte dei produttori, i quali devono i loro fondi alle pubblicità. Le aziende sono capaci
di pagare un’incredibile somma di denaro per vedere passare il loro slogan come
intermezzo di trasmissioni a larga audience.
Ecco dunque che le variabili di base per un produttore televisivo risultano
essere il ritorno economico e il livello dell’audience. E’ facile affermare che i maggiori consumatori di TV sono
bambini, anziani e casalinghe, che ricercano nel mass media solo un passatempo, non certo una ‘fonte di cultura’.
Queste persone, come faceva notare Zavoli, hanno bassi ‘interessi di carattere
generale’ e costringono i produttori che vogliono -e devono- raggiungere
un’alta audience a trasmettere show e varietà a basso livello
culturale.
Ma davvero la televisione ha connotati così neri? Non tutti la pensano così. De Mauro, per esempio, ha messo in luce la funzione educatrice svolta dalla televisione negli anni ’60. Senza distinzioni di sesso, età o professione, tutti, anche persone che altrimenti non ne avrebbero avuto modo, hanno ricevuto -e ricevono- lo stesso messaggio informativo; ecco perché molti, tra cui anche U. Eco, hanno evidenziato un legame tra sviluppo del mezzo d’informazione e crescita della democrazia di un paese. La televisione dovrebbe, dunque, istruire non imponendo concetti ma fornendo materiale da sottoporre a critiche; lo spettatore deve sentirsi stimolato a partecipare attivamente alla vita sociale ed a documentarsi su determinati fatti.
Si può allora concludere che non si può processare la TV
senza tener conto di chi ha il controllo del mezzo e della capacità di senso
critico dell’audience.
Oltre ad essere un mezzo di informazione questo medium ha una funzione ancora più
particolare ed interessante: è lo specchio della società. Se è vero che essa
unisce gli uomini dando a tutti lo stesso messaggio, è anche vero che li
divide, limitando il dialogo, la socializzazione e il bisogno di trovare un
passatempo costruttivo o di leggere un libro. Inoltre la necessità di creare
un’audience sempre maggiore porta i
produttori ad usare un effetto ipnotico sullo spettatore: cercare di renderlo
incapace di spegnere lo schermo, intontirlo attraverso quella rassicurante
ripetitività di immagini e suoni, far sì che veda nella televisione una parte
di sé e si crei, così, eroi da imitare. Il grande consumatore di televisione
finisce allora per perdere la capacità di inserirsi nel mondo reale perché
ormai troppo abituato a quel programma modellato alla perfezione sui suoi
sogni. Lo spettatore diventa indifferente di fronte alle scene di aspra
crudeltà in quanto incapace di distinguere il vero dall’invenzione. L’esempio
dell’informazione sull’odierna guerra, per quanto sconfortante, calza
perfettamente. Si guarda questo scontro militare in diretta, come fosse un
film, e le bombe distruttrici, il dolore sembrano nutrire lo spettatore.
Spesso l’uomo si confronta con il mezzo nello stesso modo
con cui si confronta con il mondo esterno. Non a caso la nostra è stata
definita la ‘generazione del telecomando’, che scansa i problemi senza
affrontarli, proprio come cambia canale davanti ad una scena di poco gusto, che
accende la televisione per non sentire il vuoto del silenzio. Molti filosofi,
fra cui anche Pascal, ritengono che l’essere umano tema se stesso. Il suo io
interiore gli ricorda la sua precaria condizione; il silenzio è causa d’angoscia,
di tormento e di quella frustrazione che, per Freud aiuta, invece, a crescere.
La televisione impedisce dunque all’uomo di stare solo con se stesso, ma gli
rende più difficile anche stare con gli altri, gli crea quindi un mondo su
misura fuori dal quale l’uomo non riesce a vivere.
Sara
Corsi