La società contemporanea ci pone di fronte ad una questione di fondamentale importanza, quella del MULTICULTURALISMO. Persone, individui, intere comunità, gruppi, etnie diverse  si trovano sempre più frequentemente, nel mondo di oggi, a stretto contatto tra di loro, nella vita quotidiana, nelle attività sociali, a partire dal lavoro. Il problema, sostanzialmente, nasce dall’esigenza di eliminare gli elementi di attrito tra questi “gruppi sociali” ( o popolazioni ) diversi che convivono in uno stesso territorio, peraltro ristretto.

Il tentativo che ci si pone attualmente è quello di creare un rapporto di interazione tra essi, ed è assolutamente indubbio che per affrontare correttamente il problema si debba essere liberi da ogni sorta di pregiudizio. Sul nostro pianeta esistono 184 Stati indipendenti, ma le lingue parlate sono più di 600. Soltanto 10 paesi hanno una popolazione costituita almeno per i tre quarti da un’unica etnia. A questo punto una domanda sorge spontanea: si assisterà ad una assimilazione o ad un’emarginazione dalla società di questi gruppi etnici, che comunque, nei fatti, costituiscono un numero veramente notevole? Le teorie al riguardo sono due: la soluzione      INTEGRAZIONISTA si propone di formare un’unica comunità sociale retta da norme, valori, credenze e simboli comuni, che consentono di creare al suo interno un elevato grado di interazione, tale da limitare i conflitti tra le diverse comunità etniche. Si assiste dunque ad una assimilazione, ad una omogeneizzazione sociale che deve poggiare su una convivenza pacifica ma pur sempre consapevole delle diversità.  La soluzione COMUNITARISTA prevede sì la creazione di un’unica comunità sociale, ma all’interno della quale le diverse popolazioni possano conservare, e sviluppare, quelle tradizioni che le distinguono e rendono speciali; una società insomma in cui mantenere il loro bagaglio storico senza dover cambiare nel nuovo paese la loro vita. Il problema investe la totalità dei paesi occidentali civilizzati, e,per quanto ci riguarda, particolarmente anche l’Italia, dove il flusso di immigrazione si è fatto negli ultimi anni sempre più massiccio e in alcuni casi quasi insostenibile. Partendo da queste premesse, ci proponiamo di focalizzare il problema in una zona particolare e precisa della penisola ed in particolare della regione Toscana: il Mugello.

 

A livello politico come si affrontano i problemi collegati all’arrivo di stranieri?

 

I dati di collocamento provenienti da alcune statistiche (1999/2000) rilevano che nell’ultimo quindicennio il numero di extracomunitari in cerca di lavoro tramite i canali del collocamento pubblico è aumentato in Toscana del 130% e, anche se la dinamica è inferiore alla media nazionale (170%), questo è l’indicatore di una tendenza che molto probabilmente si consoliderà ulteriormente nei prossimi anni e con la quale è indispensabile fare i conti.

All’interno del nostro Comune, dove l’emergenza immigrazione non è tanto dirompente e incontrollabile come nelle regioni meridionali direttamente a contatto con questo fenomeno, si determinano comunque fenomeni di disordine sociale causati dalle difficoltà d’integrazione. 

Di fronte alla condizione precaria degli immigrati, soggetti allo sfruttamento da parte di gente senza scrupoli, costretti ad accettare situazioni lavorative sottopagate e prive di garanzie, il partito dell’ Ulivo propone di risolvere la questione a livelli diversi: emergenza, sistemazione e inserimento abitativo stabile. Indicativa la presenza di Centri di permanenza per immigrati nel territorio mugellano, che garantiscono la sicurezza dei cittadini, scoraggiando la nascita di insediamenti di clandestini grazie a controlli costanti nelle aree interessate.La Casa Accoglienza a Scarperia, che ospita attualmente 47 persone di nazionalità diverse ( Somalia, Albania, Romania, Argentina…), cerca di prevenire al massimo le situazioni di disagio sul territorio e di stabilire con gli ospiti piani d’inserimento ( o reinserimento ) nella società con l’introduzione a livello scolastico, lavorativo, abitativo.

Da un’analisi più accurata emerge però che la nostra istituzione locale non è sufficientemente impegnata nel campo dell’accoglienza, priva di un disegno complessivo volto a risolvere il problema sin dalle radici e che, come sostiene il partito di Rifondazione Comunista, si può fare ancora molto per favorire l’integrazione e vivere pacificamente tra le diverse razze, etnie e fedi religiose.

E’ opportuno chiarire la posizione che gli immigrati verranno ad assumere nella nostra società in cui si cercherà di favorire la parità dei diritti ( coscienti delle motivazioni gravi che hanno spinto queste persone a lasciare la propria terra e le proprie famiglie ), ma anche una uguaglianza di fronte alla legge per questi cittadini.Secondo il gruppo di Forza Italia quindi essere immigrato non è una condizione che favorisce una impunibilità legale, in quanto la legge è e deve restare uguale per tutti.

 

"I mugellani sono alquanto idioti"

Il Mugello nel 1700: tra docilità e ribellione

 

 

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Nel 1797  nel Mugello avvennero dei moti insurrezionali contro la dominazione francese che, sotto il comando di Napoleone Bonaparte, si era affermata in tutta Italia alla fine del XIII secolo. Come vedremo, il popolo mugellano si oppose con tutte le proprie forze agli interventi stranieri nel proprio territorio, sentendosi colpito in quelli che erano considerati i capisaldi della propria tradizione, della propria cultura, delle proprie usanze.

Riteniamo importante analizzare questi moti all'interno del progetto per acquisire una certa consapevolezza di quale sia stato il carattere ed il comportamento degli abitanti del Mugello, nel passato, quando essi venivano a contatto con popoli, culture, tradizioni diverse, e per capire quanto questo carattere sia ancora radicato o quanto influenzi gli animi della popolazione a distanza di ormai due secoli.

 

 

 

La critica verso le aspiranti spinte liberali (prima quella Leopoldina e poi quella francese) e verso quelle che vennero considerate come pretese di rifondare il Mugello eliminandone le tradizioni storiche fu la causa (ma si vedrà come il motore di fondo fosse  in realtà anche la strisciante crisi alimentare che aveva provocato l'aumento dei prezzi in tutta Europa) di un lungo malcontento popolare che sfociò in una vera e propria insurrezione.

Nel venticinquennio del regno di Pietro Leopoldo (1765-1790) si attuò un’importante riforma in senso progressista. Da un punto di vista economico il Granduca realizzò  il passaggio di capitali dalle città alle campagne dove l’agricoltura era più redditizia in conseguenza al boom demografico che si era verificato negli anni del suo governo; adottò una struttura protezionista attuando il divieto d’importazioni dei manufatti esteri e dell’esportazioni delle materie prime. Da un punto di vista agricolo invece, sbloccò il mercato e volse la sua direttiva politica verso la creazione di un gruppo di contadini agiati, per favorire lo sviluppo di un’agricoltura specializzata e competitiva sul mercato internazionale. Ma questa politica funzionò in parte perchè, in questo contesto, il ceto contadino aveva definitivamente perduto le garanzie dei vecchi contratti feudali e quindi un importante sostegno statale che li proteggesse.

 

Allo stesso modo, i moti antifrancesi del 1799 in Toscana furono espressione di un malcontento popolare diretto contro il tentativo di interrompere le consuetudini paternalistiche tipiche dell’economia mezzadrile tradizionale, e per questo motivo vengono considerati come diretti “successori” dei moti anti-Leopodo, e secondo alcune interpretazioni anche come loro diretta conseguenza, o “continuazione” dato il carattere estremamente simile che essi possedevano. L’occupazione francese comportò infatti la soppressione dei privilegi feudali e i titoli nobiliari, incamerò i beni della Chiesa, proclamò l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e la parità dei culti, tutti principi però contraddetti sovente dagli stessi francesi con i frequenti furti delle più importanti opere d’arte della zona. Dietro quindi alla proclamazione dei diritti dell’uomo che i francesi avevano conquistato con la grande Rivoluzione del 1789, quali l’uguaglianza e la libertà, si nascondeva una serie di interventi autoritari volti a favorire i voleri del Direttorio di Parigi, e un sistematico sfruttamento finanziario per il mantenimento delle truppe. Tra tanti problemi quest’ultimo è uno tra i più pressanti: come ci testimonia infatti il Vicario di Scarperia in un suo messaggio al Podestà di Borgo, occorrevano per l’arrivo di nuovi Francesi “tutto quel fieno e vena non escluso l’orzo che voi potete trovare e[…]centocinquanta razioni di pane ugualmente sul momento”.

In Toscana così si aggravarono le condizioni di disagio, non compensate da una politica sociale volta alla distribuzione della ricchezza tra i vari ceti, come già si era visto con Leopoldo, ma da una politica determinata soprattutto dall’azione liberista dei patrioti filo-francesi.

Secondo Turi* questo malcontento fu indirizzato in senso antirepubblicano dal clero locale, chiaramente orientato verso l’aspetto reazionario-conservatore.

Vediamo infatti come già ai tempi di Leopoldo la direttiva politica in senso liberale era accompagnata dall’abolizione dei caratteri più vistosi della religione, distruggendo ogni legame politico tra trono ed altare. Il risultato più evidente di questa azione politica fu una crescita del malumore generale dovuto essenzialmente all’eliminazione degli elementi di culto e dei calmieri sociali (sappiamo infatti che la Chiesa si impegnava nella distribuzione di elemosine agli strati più bassi della popolazione).La distruzione del ruolo ammortizzatore della Chiesa fu quindi l’altra causa dell’insurrezione.

Nell’analisi della controrivoluzione della Vandea, Furet* afferma infatti come, accanto ad una protesta di tipo economico, contro l’accaparramento di beni nazionali da parte del ceto borghese, esista anche una protesta di tipo religioso* ( si è sviluppata nella più recente storiografia francese, una particolare attenzione al fatto religioso, inteso come indicatore privilegiato della mentalità comune ), per l’allontanamento dei parroci refrattari dalle loro diocesi di appartenenza.

 

 

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In Francia la guerra di Vandea scoppiò nel 1793, per lo scontro tra le armate rivoluzionarie che combatterono in nome della Repubblica, e la popolazione contadina sotto il vessillo di Dio e del re.Al centro del conflitto sono la questione amministrativa e religiosa.

I detentori delle nuove amministrazioni erano tutti di estrazione borghese e grandi compratori dei beni della Chiesa; questi non comprendevano la grande tradizione religiosa del luogo, anzi la credevano come una forma di ignoranza popolare, solamente quindi superstizione e rozzezza.

La loro altezzosità e superiorità si scontrò con la vita semplice dei contadini, gelosi delle loro abitudini e poco favorevoli alle innovazioni.

L’insurrezione decisiva fu preceduta da una serie di incidenti locali nati dall’obbligo del giuramento e dalla divisione del clero in due fazioni nemiche.Lo scontro finale quindi fu alimentato dall’attrito con la borghesia e il fanatismo religioso delle comunità rurali.

Per tornare alla Toscana, secondo l’analisi di Turi, di impostazione chiaramente marxista, la risultante del disagio sociale, serpeggiante in tutta l’Europa occidentale e causato da una crisi economica di fondo, si diversifica in insorgenza, moto sociale, aperta rivoluzione, a seconda del diverso grado di maturità politica della borghesia.

 

 

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Un decreto reale del 28 aprile del 1781 obbligava i Vicari della Toscana a compilare ogni tre anni una relazione circa lo stato economico e commerciale dei rispettivi loro vicariati e inviarla alla segreteria di Stato . Queste relazioni si trovano ora presso l’Archivio Centrale di Firenze, nell’Archivio del  gabinetto lorenese .Dall’analisi della prima relazione redatta dal Vicario di Scarperia Pescatori rivolto all’altezza reale emerge il ruolo dominante del Comune di Scarperia ( grande produttore di coltelli e cesoie ) sul resto del Mugello, che aveva visto un aumento della popolazione, passata a circa  29000 individui nel periodo che va dal 1795 al 1798. La popolazione mugellana era costituita essenzialmente da famiglie   facoltose che erano in grado  di provvedere al proprio mantenimento e da uno strato sociale abbastanza povero ma che comunque era inserito nei traffici e nel commercio. Si denuncia nella relazione del Pescatori l’assenza nel territorio del Mugello di un ospedale per cui i malati della zona dovevano necessariamente essere trasportati a Firenze per ricevere le necessarie cure. Le vie di comunicazione erano però molto disagiate. Nello stesso periodo si registra un aumento notevole dei prezzi “…la numerosa classe degli individui che sono costretti a procacciarsi la necessaria sussistenza col solo profitto delle loro braccia, si trova da qualche anno a questa parte in una situazione molto compassionevole, attesa la sproporzione che passa tra il quotidiano lucro di un bracciante e il prezzo dei generi alimentari di prima necessità”.

Nella seconda relazione si parla delle caratteristiche del territorio, descritto come “salubre”, costellato di collinette e “circondato dappertutto da una corona di monti”, tra cui spicca il “galante” monte Senario. Si fa riferimento inoltre ad un ulteriore aumento di popolazione, salita ormai a 36000 unità. Il Vicario si sofferma poi sulla descrizione della zona dei Crocioni, teatro probabilmente dell’antica battaglia, descritta da Procopio, tra Goti e Bizantini, nella quale i contadini trovavano frequentemente resti e ossa di morti.

Il Mugello era un territorio ben protetto da imponenti fortezze e castelli, quali Spugnole, la fortezza di S.Martino e la celebre villa di Cafaggiolo (progettata appunto sul modello delle antiche fortezze).

Scarperia comprendeva nel proprio vicariato le Potesterie di Borgo S. Lorenzo, Vicchio e Barberino. Borgo S. Lorenzo, “paese di traffico”, possedeva una popolazione di circa 4000 persone, mentre Vicchio era un castello di solo 700 abitanti, Barberino era abitato da 1800 persone ed in tutti e tre i paesi si svolgeva settimanalmente un mercato di generi frumentari.

 

 

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A questo punto il Vicario passa alla descrizione del “carattere dei Mugellani”: “Il carattere degli abitanti del Mugello è generalmente assai docile e buono. Attaccati per massima e per inclinazione a V.A.R. venerano con la dovuta sommissione gli ordini del Governo senza cercare d’avvantaggio. Sono alquanto idioti, e per conseguenza ben lontani da quel pernicioso grado di civilizzazione che a sentimento del celebre segretario di stato Sylon, produce infine lo sconvolgimento della politica esistenza delle regioni. Pochi o punti sono portati allo scibile, e sembra loro d’avere in famiglia un uomo di grande importanza quando giunge ad essere spinto sull’altare.[…] I preti hanno una grande influenza sull’animo dei mugellani, ma se si prescinde dall’essere i medesimi portati all’interesse, sono in generale di esemplare condotta e di buone massime, talchè questa loro influenza, anzi che nuocere, giova per il quieto vivere della popolazione.” Molto interessante è questa descrizione per comprendere anche l’orientamento del pensiero del Vicario, il quale definendo i mugellani lontani da un “pernicioso grado di civilizzazione” sembra appoggiare pienamente la dottrina di Rousseau, per cui, in questo caso, essi sono molto meno corrotti e forse più vicini allo stato di natura di quanto non lo siano gli abitanti delle città. Emerge in sostanza in sostanza il carattere tranquillo, bonario e fortemente religioso, attaccato alle tradizioni, della popolazione.

La popolazione, secondo il Vicario, non era abbastanza numerosa. Anche se negli ultimi anni aveva conosciuto un sostanziale incremento, essa non era sufficiente perché l’intera area potesse progredire, principalmente dal punto di vista economico. L’ostacolo principale alla crescita demografica era, secondo il Vicario, la presenza massiccia di grandi proprietari con la conseguente assenza di una diffusa piccola proprietà contadina. “[…] Quando in una Nazione vi sono molti proprietari e pochi proprietari piccoli, è troppo naturale che vi siano molti non proprietari. Gli spazi non sono infiniti, la grande proprietà di un solo suppone il difetto di proprietà di molti, non altrimenti che nei paesi ove la poligamia ha luogo, e dove il numero delle femmine non è maggiore di quello degli uomini un uomo che ha dieci mogli suppone nove decimi. […]”

La ricchezza di un popolo non sono i latifondi, bensì “l’agio comune della maggior parte dei cittadini”, cui si spera di ovviare senza agire direttamente contro i diritti della proprietà privata, dei latifondisti, ma con l’abolizione di alcune immunità e privilegi nobiliari ed ecclesiastici.

Il Vicario molto evidentemente lamenta l’assenza in Mugello di un forte ceto medio che possa trascinare tutta la popolazione verso un grado più elevato di sviluppo. Ma in Mugello non c’era una borghesia in grado di affermarsi, non esisteva un ceto imprenditoriale.

L’agricoltura non era molto praticata, e si basava essenzialmente su sistemi antichi ed ormai abbandonati altrove. I terreni, chiamati maggiatiche, venivano coltivati ad anni alterni, provocando una produzione molto limitata, principalmente a causa dell’assenza di case coloniche per dividere in più famiglie i poderi che erano troppo estesi per una sola famiglia. La coltivazione di olivi non era molto praticata, a differenza del resto della Toscana, mentre abbondante e di qualità piuttosto buona era la produzione di vino.

Le arti non erano in vigore, per l’assenza di Mecenati che le proteggessero. I “torpidi mugellani” si dedicavano alle arti di prima necessità, nelle quali però non riuscivano ad eccellere, come dire, non riuscivano a concludere un lavoro come si deve. I coltelli e le cesoie di Scarperia, per esempio, non erano neanche paragonabili a quelli inglesi, di una lavorazione accurata e perfetta. La pittura, la scultura, l’architettura, erano ormai sparite da tempo.

L’industria si trovava in un grave stato “di languore”, per cui, in assenza di uno spirito, o di una qualsiasi iniziativa imprenditoriale, le materie più importanti dovevano essere “importate” da Firenze, mentre gli imprenditori erano esclusivamente stranieri, per cui erano portati a produrre per il proprio interesse personale più che per il bene ed il progresso dell’industria locale.

I contadini e gli artigiani non avevano iniziative proprie, lavoravano per la propria sussistenza, e per questo motivo caratterizzavano una società molto statica, determinando uno stallo economico notevole, con un evidente regresso. Se si prescinde da Borgo S. Lorenzo e da Scarperia, il commercio non era assolutamente sviluppato, oppure era un commercio di carattere passivo. Molti generi di prima necessità dovevano essere importati, mentre i prodotti della terra mugellana, quali il grano ed il vino ( che venivano prodotti in surplus ) non erano retribuiti sufficientemente. Il commercio interno era ostacolato fortemente dalle cattive vie di comunicazione, le quali provocavano anche un notevole prezzo delle derrate alimentari che gli abitanti erano costretti a far venire da fuori, come ad esempio l’olio. Come detto in precedenza il Vicario lamenta l’assenza di forme di coltivazione più moderne, e propone, per migliorare ed incrementare la produzione, l’introduzione di una rotazione triennale delle colture maggiatiche e la costruzione di più case coloniche per favorire lo sviluppo della piccola proprietà contadina.

 

In conclusione, dalla descrizione del Vicario di Scarperia, emergono le caratteristiche fondamentali del Mugello, che appare in modo evidente ancora molto arretrato dal punto di vista agricolo, industriale, commerciale; è caratterizzato da una società poco mobile, in cui manca totalmente un ceto attivo, intraprendente, una borghesia imprenditoriale capace di trasformare il territorio e condurlo ad un progresso che appare ancora molto, molto lontano.

 

 

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Ma la "docilità" degli abitanti dell'amena vallata sembra entrare in crisi, dopo alcune avvisaglie nel periodo lorenese, all'arrivo dell'occupazione francese

Una delle prime testimonianze che ci fa capire che qualcosa di strano ed insolito stava sconvolgendo la vita semplice dei borghigiani, ci è data dall’Archivio storico comunale di Borgo San Lorenzo, dove risulta che il giorno 9 aprile del 1799 vi fu una riunione dei rappresentanti della Comunità di Borgo San Lorenzo in cui i pochi presenti, per l’impossibilità di adunarli tutti, vista l’urgenza della convocazione, dibatterono sulle requisizioni per le truppe francesi.

Nell’aprile del 1799 le truppe francesi entrarono in Firenze ,contro un trattato di neutralità che era stato stipulato tra il Granduca e la Francia. Il primo maggio viene così eretto l’albero della libertà,simbolo di obbedienza e di patriottismo alla Repubblica Francese. Dopo un primo periodo di felice dominazione straniera, abbiamo visto che il malcontento popolare esplose in una violenta reazione, dall’Aretino al resto della Toscana. Nel giorno del 3 maggio avvengono infatti dei tumulti: come scrisse il Podestà di Dicomano al Presidente del Buongoverno a Firenze, una “ciurma di canaglie” fecero levare le coccarde francesi e tagliarono l’albero della libertà. Cominciavano così ad essere un problema molto pressante per la popolazione più disagiata le requisizioni per l’approvvigionamento dei soldati.

Nel giorno 19 giugno 1799, le bande dei “ Viva Maria ” arrivarono a Borgo, dopo aver già passato Dicomano e Vicchio distruggendo l’albero della libertà per sostituirvi l’immagine di Maria SS.del Conforto.

Il 20 giugno i Francesi provenienti dalla Fortezza di San Martino a San Piero a Sieve furono costretti alla fuga in seguito ad un contrasto con i borghigiani. Ma il giorno seguente i fuggitivi tornarono più numerosi e per puntare le loro potenti armi contro il paese della villa di Ripa. La distruzione della torre dell’Orologio fu evitata grazie all’intervento di un borghese che fece esplodere un fucile sul cannoniere. Con la morte del comandante dei Francesi, la fuga giacobina fu inevitabile.

Ancora nuovi tumulti scoppiarono in varie località del Mugello nel corso dei giorni 24 e 25 Giugno:si registrarono nuovi episodi a Vicchio nei quali si ebbe ancora, come forma di protesta, la distruzione dell’albero della libertà e la conseguente fuga dei pacifici abitanti verso altre località mugellane.

Il 28 giugno arrivò la richiesta urgente di vino e pane da parte del nuovo Vicario di Scarperia al Comune di Borgo San Lorenzo per la giornaliera sussistenza di Francesi presenti in parte a Pietramala ed in parte a Barberino di Mugello. Tale richiesta si ripetè il 2 luglio per il nuovo passaggio di truppe francesi provenienti da Bologna. Nel giorno del 5 luglio si avrà finalmente la sconfitta della Trebbia e la conseguente liberazione della Toscana.

 

Dall'analisi svolta sin qui degli avvenimenti in Mugello si rileva che l'elemento religioso, inteso come espressione di un'identità culturale e sociale, del radicamento  del singolo nella comunità, come motivo di lotta contro l'estraneo vissuto ( e in questo caso lo era) come aggressore è molto significativo.A questo proposito una recente indagine *, la cui tesi principale indica che la religione nel territorio mugellano ha sempre costituito un elemento di fondamentale importanza sia dal punto di vista sociale che da quello politico. In generale, e ovunque, essa costituisce un fattore fondamentale in quanto determina una forte identità, unione, coesione sociale ma soprattutto, come sostiene De Felice, diviene per la popolazione una vera e propria forma di calmiere sociale, poiché influenza e determina le credenze popolari ( come il miracolo della Madonna che apre gli occhi citato dalla stesso storico ).  In Mugello questo aspetto della religione si presenta ancor più accentuato, come attestato dalle testimonianze di Nicola Lisi ( il Mugello agli inizi del 900 ), che definisce il Mugello appunto come “una terra abitata da galli, preti, galline, bifolchi, passeri, monaci e porci” e di don Lorenzo Milani ( Diario di un parroco in campagna ) che afferma: “ Mi sono convinto del grande disagio del mio popolo […] e della profondità del rancore che nutriva verso la classe dirigente, il governo, il clero. Ho allora sentito quanto questo rancore fosse insormontabile ostacolo alla sua evangelizzazione ed ho perciò deciso di dedicarmi ad una precisa distinzione di responsabilità.”

Religione e situazione economica mugellana

( inizi del ‘900 ) :in corrispondenza ad una struttura mezzadrile, che isolava il colono nel proprio podere dipendente al proprietario terriero e sotto consuetudini secolari, la religiosità popolare consisteva in credenze magiche, riferibili ai cicli agricoli e produttivi ( culto di Sant’Antonio per l’esorcizzazione delle malattie del bestiame ), considerate delle vere pratiche di culto e delle vere cerimonie liturgiche.

Nei moti della fame del  1898 nel Mugello(che non sono quelli da noi presi in esame, ma che comunque ci aiutano a comprendere il carattere della popolazione che non è mai mutato in maniera netta nel tempo e che sostanzialmente può essere considerato lo stesso che contraddistingueva i “torpidi, docili e idioti” mugellani di esattamente un secolo prima), la Chiesa assunse un ruolo molto importante nella lotta contro i responsabili del crollo sociale,il cui potere era confermato anche dai rapporti semestrali di delegati alla pubblica sicurezza, dove si sottolineava che la popolazione locale era di indole “mite e tranquilla”, particolarmente aliena dalle opinioni politiche estremiste e “attaccatissima alla religione”. Il vano tentativo di ribellione contro l’esercito regio, portarono il partito “leopoldista” (coloro che reclamavano il ritorno all’antico regime, paradossalmente in modo contrario alle vere intenzioni moderate di Leopoldo ) ad astenersi dal dissenso. Di lì a poco sarebbe nato “Il Vero Operaio”, bollettino delle varie organizzazioni parrocchiali che avrebbe difeso gloriosamente l’appellativo di  “Vandea” e che avrebbe portato la Chiesa ad esplicarsi sempre più nel campo economico-sociale.

I cattolici erano in eterno conflitto tra l’obbedienza alla gerarchia e le loro autonome scelte. 

 

 

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In un generale clima provocato da ciò che genericamente si definisce  globalizzazione, la religione rappresenta indubbiamente, come scrive anche  A. Touraine*, Libertà, uguaglianza, diversità, Si può vivere insieme?, Il saggiatore, Milano, 1998. un catalizzatore di identità, al di là dell' indeterminatezza globale  del mercato e della perdita delle identità tipiche dlla cultura ottecento-novecentesca: nazione e classe sociale.

Se,  secondo Touraine, la soluzione al quesito fondamentale : si può vivere insieme, rispettando le differenze, è:

" l'associazione di democrazia politica e diversità culturale, fondate sulla libertà del Soggetto" l'antitesi tra società  comunitarista e società integrazionista non esiste in realtà , perchè entrambe presentano un progetto che, portato agli estremi, non esclude l'autorità di una norma valida per tutti, che non riconosce quindi i diritti di una minoranza, o che riduce la società ad una parcellizzazione di minoranze  non in relazione tra loro. Il soggetto sembra l'unico spazio possibile  ( l'"infra", direbbe H.Arendt) che consente di aderire senza identificarsi, che permette quindi la libertà: " il richiamo alla costruzione della vita personale è l'unico principio universalista che non impone alcuna forma di organizzazione di società e delle pratiche culturali. E che non si riduce, però al lassismo o alla mera tolleranza, anzitutto perchè impone il rispetto della libertà di ciascuno, e dunque il rifiuto dell'esclusione; e poi perchè esige che ogni riferimento ad un'identità culturale si legittimi con il ricorso alla libertà e all'uguaglianza di tutti gli individui, e non con un richiamo ad un ordine sociale, ad una tradizione o a esigenze di ordine pubblico."