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"I mugellani sono
alquanto idioti"
Il Mugello nel 1700: tra
docilità e ribellione
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Nel 1797 nel Mugello avvennero dei moti insurrezionali
contro la dominazione francese che, sotto il comando di Napoleone Bonaparte, si
era affermata in tutta Italia alla fine del XIII secolo. Come vedremo, il
popolo mugellano si oppose con tutte le proprie forze agli interventi stranieri
nel proprio territorio, sentendosi colpito in quelli che erano considerati i
capisaldi della propria tradizione, della propria cultura, delle proprie
usanze.
Riteniamo importante analizzare
questi moti all'interno del progetto per acquisire una certa consapevolezza di
quale sia stato il carattere ed il comportamento degli abitanti del Mugello,
nel passato, quando essi venivano a contatto con popoli, culture, tradizioni
diverse, e per capire quanto questo carattere sia ancora radicato o quanto
influenzi gli animi della popolazione a distanza di ormai due secoli.
La critica verso le aspiranti
spinte liberali (prima quella Leopoldina e poi quella francese) e verso quelle
che vennero considerate come pretese di rifondare il Mugello eliminandone le
tradizioni storiche fu la causa (ma si vedrà come il motore di fondo fosse in realtà anche la strisciante crisi
alimentare che aveva provocato l'aumento dei prezzi in tutta Europa) di un
lungo malcontento popolare che sfociò in una vera e propria insurrezione.
Nel
venticinquennio del regno di Pietro Leopoldo (1765-1790) si attuò un’importante
riforma in senso progressista. Da un punto di vista economico il Granduca
realizzò il passaggio di capitali dalle
città alle campagne dove l’agricoltura era più redditizia in conseguenza al
boom demografico che si era verificato negli anni del suo governo; adottò una
struttura protezionista attuando il divieto d’importazioni dei manufatti esteri
e dell’esportazioni delle materie prime. Da un punto di vista agricolo invece,
sbloccò il mercato e volse la sua direttiva politica verso la creazione di un
gruppo di contadini agiati, per favorire lo sviluppo di un’agricoltura
specializzata e competitiva sul mercato internazionale. Ma questa politica
funzionò in parte perchè, in questo contesto, il ceto contadino aveva
definitivamente perduto le garanzie dei vecchi contratti feudali e quindi un
importante sostegno statale che li proteggesse.
Allo stesso modo, i moti
antifrancesi del 1799 in Toscana furono espressione di un malcontento popolare diretto
contro il tentativo di interrompere le consuetudini paternalistiche tipiche
dell’economia mezzadrile tradizionale, e per questo motivo vengono considerati
come diretti “successori” dei moti anti-Leopodo, e secondo alcune
interpretazioni anche come loro diretta conseguenza, o “continuazione” dato il
carattere estremamente simile che essi possedevano. L’occupazione francese
comportò infatti la soppressione dei privilegi feudali e i titoli nobiliari,
incamerò i beni della Chiesa, proclamò l’uguaglianza dei cittadini di fronte
alla legge e la parità dei culti, tutti principi però contraddetti sovente
dagli stessi francesi con i frequenti furti delle più importanti opere d’arte
della zona. Dietro quindi alla proclamazione dei diritti dell’uomo che i
francesi avevano conquistato con la grande Rivoluzione del 1789, quali
l’uguaglianza e la libertà, si nascondeva una serie di interventi autoritari
volti a favorire i voleri del Direttorio di Parigi, e un sistematico
sfruttamento finanziario per il mantenimento delle truppe. Tra tanti problemi
quest’ultimo è uno tra i più pressanti: come ci testimonia infatti il Vicario
di Scarperia in un suo messaggio al Podestà di Borgo, occorrevano per l’arrivo
di nuovi Francesi “tutto quel fieno e vena non escluso l’orzo che voi potete
trovare e[…]centocinquanta razioni di pane ugualmente sul momento”.
In Toscana così si aggravarono
le condizioni di disagio, non compensate da una politica sociale volta alla
distribuzione della ricchezza tra i vari ceti, come già si era visto con
Leopoldo, ma da una politica determinata soprattutto dall’azione liberista dei
patrioti filo-francesi.
Secondo Turi* questo
malcontento fu indirizzato in senso antirepubblicano dal clero locale,
chiaramente orientato verso l’aspetto reazionario-conservatore.
Vediamo infatti come già ai
tempi di Leopoldo la direttiva politica in senso liberale era accompagnata
dall’abolizione dei caratteri più vistosi della religione, distruggendo ogni
legame politico tra trono ed altare. Il risultato più evidente di questa azione
politica fu una crescita del malumore generale dovuto essenzialmente
all’eliminazione degli elementi di culto e dei calmieri sociali (sappiamo
infatti che la Chiesa si impegnava nella distribuzione di elemosine agli strati
più bassi della popolazione).La distruzione del ruolo ammortizzatore della
Chiesa fu quindi l’altra causa dell’insurrezione.
Nell’analisi della
controrivoluzione della Vandea, Furet* afferma infatti come, accanto ad una
protesta di tipo economico, contro l’accaparramento di beni nazionali da parte
del ceto borghese, esista anche una protesta di tipo religioso* ( si è
sviluppata nella più recente storiografia francese, una particolare attenzione
al fatto religioso, inteso come indicatore privilegiato della mentalità
comune ), per l’allontanamento dei parroci refrattari dalle loro diocesi di
appartenenza.
2
In Francia la guerra di Vandea
scoppiò nel 1793, per lo scontro tra le armate rivoluzionarie che combatterono
in nome della Repubblica, e la popolazione contadina sotto il vessillo di Dio e
del re.Al centro del conflitto sono la questione amministrativa e religiosa.
I detentori delle nuove
amministrazioni erano tutti di estrazione borghese e grandi compratori dei beni
della Chiesa; questi non comprendevano la grande tradizione religiosa del
luogo, anzi la credevano come una forma di ignoranza popolare, solamente quindi
superstizione e rozzezza.
La loro altezzosità e
superiorità si scontrò con la vita semplice dei contadini, gelosi delle loro
abitudini e poco favorevoli alle innovazioni.
L’insurrezione decisiva fu
preceduta da una serie di incidenti locali nati dall’obbligo del giuramento e
dalla divisione del clero in due fazioni nemiche.Lo scontro finale quindi fu
alimentato dall’attrito con la borghesia e il fanatismo religioso delle
comunità rurali.
Per tornare alla Toscana,
secondo l’analisi di Turi, di impostazione chiaramente marxista, la risultante
del disagio sociale, serpeggiante in tutta l’Europa occidentale e causato da una
crisi economica di fondo, si diversifica in insorgenza, moto sociale, aperta
rivoluzione, a seconda del diverso grado di maturità politica della borghesia.
3
Un decreto reale del 28 aprile
del 1781 obbligava i Vicari della Toscana a compilare ogni tre anni una
relazione circa lo stato economico e commerciale dei rispettivi loro vicariati
e inviarla alla segreteria di Stato . Queste relazioni si trovano ora presso
l’Archivio Centrale di Firenze, nell’Archivio del gabinetto lorenese .Dall’analisi della prima relazione redatta
dal Vicario di Scarperia Pescatori rivolto all’altezza reale emerge il ruolo
dominante del Comune di Scarperia ( grande produttore di coltelli e cesoie )
sul resto del Mugello, che aveva visto un aumento della popolazione, passata a circa 29000 individui nel periodo che va dal 1795
al 1798. La popolazione mugellana era costituita essenzialmente da
famiglie facoltose che erano in grado di provvedere al proprio mantenimento e da
uno strato sociale abbastanza povero ma che comunque era inserito nei traffici
e nel commercio. Si denuncia nella relazione del Pescatori l’assenza nel
territorio del Mugello di un ospedale per cui i malati della zona dovevano
necessariamente essere trasportati a Firenze per ricevere le necessarie cure.
Le vie di comunicazione erano però molto disagiate. Nello stesso periodo si
registra un aumento notevole dei prezzi “…la numerosa classe degli individui
che sono costretti a procacciarsi la necessaria sussistenza col solo profitto
delle loro braccia, si trova da qualche anno a questa parte in una situazione
molto compassionevole, attesa la sproporzione che passa tra il quotidiano lucro
di un bracciante e il prezzo dei generi alimentari di prima necessità”.
Nella seconda relazione si
parla delle caratteristiche del territorio, descritto come “salubre”,
costellato di collinette e “circondato dappertutto da una corona di monti”, tra
cui spicca il “galante” monte Senario. Si fa riferimento inoltre ad un
ulteriore aumento di popolazione, salita ormai a 36000 unità. Il Vicario si
sofferma poi sulla descrizione della zona dei Crocioni, teatro probabilmente
dell’antica battaglia, descritta da Procopio, tra Goti e Bizantini, nella quale
i contadini trovavano frequentemente resti e ossa di morti.
Il Mugello era un territorio
ben protetto da imponenti fortezze e castelli, quali Spugnole, la fortezza di
S.Martino e la celebre villa di Cafaggiolo (progettata appunto sul modello
delle antiche fortezze).
Scarperia comprendeva nel
proprio vicariato le Potesterie di Borgo S. Lorenzo, Vicchio e Barberino. Borgo
S. Lorenzo, “paese di traffico”, possedeva una popolazione di circa 4000
persone, mentre Vicchio era un castello di solo 700 abitanti, Barberino era
abitato da 1800 persone ed in tutti e tre i paesi si svolgeva settimanalmente
un mercato di generi frumentari.
4
A questo punto il Vicario passa
alla descrizione del “carattere dei Mugellani”: “Il carattere degli abitanti
del Mugello è generalmente assai docile e buono. Attaccati per massima e per
inclinazione a V.A.R. venerano con la dovuta sommissione gli ordini del Governo
senza cercare d’avvantaggio. Sono alquanto idioti, e per conseguenza ben
lontani da quel pernicioso grado di civilizzazione che a sentimento del celebre
segretario di stato Sylon, produce infine lo sconvolgimento della politica
esistenza delle regioni. Pochi o punti sono portati allo scibile, e sembra loro
d’avere in famiglia un uomo di grande importanza quando giunge ad essere spinto
sull’altare.[…] I preti hanno una grande influenza sull’animo dei mugellani, ma
se si prescinde dall’essere i medesimi portati all’interesse, sono in generale
di esemplare condotta e di buone massime, talchè questa loro influenza, anzi
che nuocere, giova per il quieto vivere della popolazione.” Molto interessante
è questa descrizione per comprendere anche l’orientamento del pensiero del
Vicario, il quale definendo i mugellani lontani da un “pernicioso grado di
civilizzazione” sembra appoggiare pienamente la dottrina di Rousseau, per cui,
in questo caso, essi sono molto meno corrotti e forse più vicini allo stato di
natura di quanto non lo siano gli abitanti delle città. Emerge in sostanza in
sostanza il carattere tranquillo, bonario e fortemente religioso, attaccato
alle tradizioni, della popolazione.
La popolazione, secondo il Vicario,
non era abbastanza numerosa. Anche se negli ultimi anni aveva conosciuto un
sostanziale incremento, essa non era sufficiente perché l’intera area potesse
progredire, principalmente dal punto di vista economico. L’ostacolo principale
alla crescita demografica era, secondo il Vicario, la presenza massiccia di
grandi proprietari con la conseguente assenza di una diffusa piccola proprietà
contadina. “[…] Quando in una Nazione vi sono molti proprietari e pochi
proprietari piccoli, è troppo naturale che vi siano molti non proprietari. Gli
spazi non sono infiniti, la grande proprietà di un solo suppone il difetto di
proprietà di molti, non altrimenti che nei paesi ove la poligamia ha luogo, e
dove il numero delle femmine non è maggiore di quello degli uomini un uomo che
ha dieci mogli suppone nove decimi. […]”
La ricchezza di un popolo non
sono i latifondi, bensì “l’agio comune della maggior parte dei cittadini”, cui
si spera di ovviare senza agire direttamente contro i diritti della proprietà
privata, dei latifondisti, ma con l’abolizione di alcune immunità e privilegi
nobiliari ed ecclesiastici.
Il Vicario molto evidentemente
lamenta l’assenza in Mugello di un forte ceto medio che possa trascinare tutta
la popolazione verso un grado più elevato di sviluppo. Ma in Mugello non c’era
una borghesia in grado di affermarsi, non esisteva un ceto imprenditoriale.
L’agricoltura non era molto
praticata, e si basava essenzialmente su sistemi antichi ed ormai abbandonati
altrove. I terreni, chiamati maggiatiche, venivano coltivati ad anni
alterni, provocando una produzione molto limitata, principalmente a causa
dell’assenza di case coloniche per dividere in più famiglie i poderi che erano
troppo estesi per una sola famiglia. La coltivazione di olivi non era molto
praticata, a differenza del resto della Toscana, mentre abbondante e di qualità
piuttosto buona era la produzione di vino.
Le arti non erano in vigore,
per l’assenza di Mecenati che le proteggessero. I “torpidi mugellani” si
dedicavano alle arti di prima necessità, nelle quali però non riuscivano ad
eccellere, come dire, non riuscivano a concludere un lavoro come si deve. I
coltelli e le cesoie di Scarperia, per esempio, non erano neanche paragonabili
a quelli inglesi, di una lavorazione accurata e perfetta. La pittura, la
scultura, l’architettura, erano ormai sparite da tempo.
L’industria si trovava in un
grave stato “di languore”, per cui, in assenza di uno spirito, o di una
qualsiasi iniziativa imprenditoriale, le materie più importanti dovevano essere
“importate” da Firenze, mentre gli imprenditori erano esclusivamente stranieri,
per cui erano portati a produrre per il proprio interesse personale più che per
il bene ed il progresso dell’industria locale.
I contadini e gli artigiani non
avevano iniziative proprie, lavoravano per la propria sussistenza, e per questo
motivo caratterizzavano una società molto statica, determinando uno stallo
economico notevole, con un evidente regresso. Se si prescinde da Borgo S.
Lorenzo e da Scarperia, il commercio non era assolutamente sviluppato, oppure
era un commercio di carattere passivo. Molti generi di prima necessità dovevano
essere importati, mentre i prodotti della terra mugellana, quali il grano ed il
vino ( che venivano prodotti in surplus ) non erano retribuiti sufficientemente.
Il commercio interno era ostacolato fortemente dalle cattive vie di
comunicazione, le quali provocavano anche un notevole prezzo delle derrate
alimentari che gli abitanti erano costretti a far venire da fuori, come ad
esempio l’olio. Come detto in precedenza il Vicario lamenta l’assenza di forme
di coltivazione più moderne, e propone, per migliorare ed incrementare la
produzione, l’introduzione di una rotazione triennale delle colture maggiatiche
e la costruzione di più case coloniche per favorire lo sviluppo della piccola
proprietà contadina.
In conclusione, dalla
descrizione del Vicario di Scarperia, emergono le caratteristiche fondamentali
del Mugello, che appare in modo evidente ancora molto arretrato dal punto di
vista agricolo, industriale, commerciale; è caratterizzato da una società poco
mobile, in cui manca totalmente un ceto attivo, intraprendente, una borghesia
imprenditoriale capace di trasformare il territorio e condurlo ad un progresso
che appare ancora molto, molto lontano.
5
Ma la "docilità"
degli abitanti dell'amena vallata sembra entrare in crisi, dopo alcune
avvisaglie nel periodo lorenese, all'arrivo dell'occupazione francese
Una delle prime testimonianze
che ci fa capire che qualcosa di strano ed insolito stava sconvolgendo la vita
semplice dei borghigiani, ci è data dall’Archivio storico comunale di Borgo San
Lorenzo, dove risulta che il giorno 9 aprile del 1799 vi fu una riunione dei
rappresentanti della Comunità di Borgo San Lorenzo in cui i pochi presenti, per
l’impossibilità di adunarli tutti, vista l’urgenza della convocazione,
dibatterono sulle requisizioni per le truppe francesi.
Nell’aprile del 1799 le truppe
francesi entrarono in Firenze ,contro un trattato di neutralità che era stato
stipulato tra il Granduca e la Francia. Il primo maggio viene così eretto
l’albero della libertà,simbolo di obbedienza e di patriottismo alla Repubblica
Francese. Dopo un primo periodo di felice dominazione straniera, abbiamo visto
che il malcontento popolare esplose in una violenta reazione, dall’Aretino al
resto della Toscana. Nel giorno del 3 maggio avvengono infatti dei tumulti:
come scrisse il Podestà di Dicomano al Presidente del Buongoverno a Firenze,
una “ciurma di canaglie” fecero levare le coccarde francesi e tagliarono
l’albero della libertà. Cominciavano così ad essere un problema molto pressante
per la popolazione più disagiata le requisizioni per l’approvvigionamento dei
soldati.
Nel giorno 19 giugno 1799, le
bande dei “ Viva Maria ” arrivarono a Borgo, dopo aver già passato Dicomano e
Vicchio distruggendo l’albero della libertà per sostituirvi l’immagine di Maria
SS.del Conforto.
Il 20 giugno i Francesi
provenienti dalla Fortezza di San Martino a San Piero a Sieve furono costretti
alla fuga in seguito ad un contrasto con i borghigiani. Ma il giorno seguente i
fuggitivi tornarono più numerosi e per puntare le loro potenti armi contro il
paese della villa di Ripa. La distruzione della torre dell’Orologio fu evitata
grazie all’intervento di un borghese che fece esplodere un fucile sul
cannoniere. Con la morte del comandante dei Francesi, la fuga giacobina fu
inevitabile.
Ancora nuovi tumulti
scoppiarono in varie località del Mugello nel corso dei giorni 24 e 25
Giugno:si registrarono nuovi episodi a Vicchio nei quali si ebbe ancora, come
forma di protesta, la distruzione dell’albero della libertà e la conseguente
fuga dei pacifici abitanti verso altre località mugellane.
Il 28 giugno arrivò la
richiesta urgente di vino e pane da parte del nuovo Vicario di Scarperia al
Comune di Borgo San Lorenzo per la giornaliera sussistenza di Francesi presenti
in parte a Pietramala ed in parte a Barberino di Mugello. Tale richiesta si
ripetè il 2 luglio per il nuovo passaggio di truppe francesi provenienti da
Bologna. Nel giorno del 5 luglio si avrà finalmente la sconfitta della Trebbia
e la conseguente liberazione della Toscana.
Dall'analisi svolta sin qui
degli avvenimenti in Mugello si rileva che l'elemento religioso, inteso come
espressione di un'identità culturale e sociale, del radicamento del singolo nella comunità, come motivo di
lotta contro l'estraneo vissuto ( e in questo caso lo era) come aggressore è
molto significativo.A questo proposito una recente indagine *, la cui tesi
principale indica che la religione nel territorio mugellano ha sempre
costituito un elemento di fondamentale importanza sia dal punto di vista
sociale che da quello politico. In generale, e ovunque, essa costituisce un
fattore fondamentale in quanto determina una forte identità, unione, coesione
sociale ma soprattutto, come sostiene De Felice, diviene per la popolazione una
vera e propria forma di calmiere sociale, poiché influenza e determina le
credenze popolari ( come il miracolo della Madonna che apre gli occhi citato
dalla stesso storico ). In Mugello
questo aspetto della religione si presenta ancor più accentuato, come attestato
dalle testimonianze di Nicola Lisi ( il Mugello agli inizi del 900 ), che
definisce il Mugello appunto come “una terra abitata da galli, preti, galline,
bifolchi, passeri, monaci e porci” e di don Lorenzo Milani ( Diario di un
parroco in campagna ) che afferma: “ Mi sono convinto del grande disagio del
mio popolo […] e della profondità del rancore che nutriva verso la classe
dirigente, il governo, il clero. Ho allora sentito quanto questo rancore fosse
insormontabile ostacolo alla sua evangelizzazione ed ho perciò deciso di
dedicarmi ad una precisa distinzione di responsabilità.”
( inizi del ‘900 ) :in
corrispondenza ad una struttura mezzadrile, che isolava il colono nel proprio
podere dipendente al proprietario terriero e sotto consuetudini secolari, la
religiosità popolare consisteva in credenze magiche, riferibili ai cicli
agricoli e produttivi ( culto di Sant’Antonio per l’esorcizzazione delle
malattie del bestiame ), considerate delle vere pratiche di culto e delle vere
cerimonie liturgiche.
Nei
moti della fame del 1898 nel
Mugello(che non sono quelli da noi presi in esame, ma che comunque ci aiutano a
comprendere il carattere della popolazione che non è mai mutato in maniera
netta nel tempo e che sostanzialmente può essere considerato lo stesso che
contraddistingueva i “torpidi, docili e idioti” mugellani di esattamente un
secolo prima), la Chiesa assunse un ruolo molto importante nella lotta contro i
responsabili del crollo sociale,il cui potere era confermato anche dai rapporti
semestrali di delegati alla pubblica sicurezza, dove si sottolineava che la
popolazione locale era di indole “mite e tranquilla”, particolarmente aliena
dalle opinioni politiche estremiste e “attaccatissima alla religione”. Il vano
tentativo di ribellione contro l’esercito regio, portarono il partito
“leopoldista” (coloro che reclamavano il ritorno all’antico regime, paradossalmente
in modo contrario alle vere intenzioni moderate di Leopoldo ) ad astenersi dal
dissenso. Di lì a poco sarebbe nato “Il Vero Operaio”, bollettino delle varie
organizzazioni parrocchiali che avrebbe difeso gloriosamente l’appellativo di “Vandea” e che avrebbe portato la Chiesa ad
esplicarsi sempre più nel campo economico-sociale.
I cattolici erano in eterno
conflitto tra l’obbedienza alla gerarchia e le loro autonome scelte.
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In un generale clima provocato
da ciò che genericamente si definisce globalizzazione,
la religione rappresenta indubbiamente, come scrive anche A. Touraine*, Libertà, uguaglianza,
diversità, Si può vivere insieme?, Il saggiatore, Milano, 1998. un
catalizzatore di identità, al di là dell' indeterminatezza globale del mercato e della perdita delle identità
tipiche dlla cultura ottecento-novecentesca: nazione e classe sociale.
Se, secondo Touraine, la soluzione al quesito fondamentale : si può
vivere insieme, rispettando le differenze, è:
" l'associazione di
democrazia politica e diversità culturale, fondate sulla libertà del
Soggetto" l'antitesi tra società
comunitarista e società integrazionista non esiste in realtà , perchè
entrambe presentano un progetto che, portato agli estremi, non esclude
l'autorità di una norma valida per tutti, che non riconosce quindi i diritti di
una minoranza, o che riduce la società ad una parcellizzazione di
minoranze non in relazione tra loro. Il
soggetto sembra l'unico spazio possibile
( l'"infra", direbbe H.Arendt) che consente di aderire senza
identificarsi, che permette quindi la libertà: " il richiamo alla
costruzione della vita personale è l'unico principio universalista che non
impone alcuna forma di organizzazione di società e delle pratiche culturali. E
che non si riduce, però al lassismo o alla mera tolleranza, anzitutto perchè
impone il rispetto della libertà di ciascuno, e dunque il rifiuto
dell'esclusione; e poi perchè esige che ogni riferimento ad un'identità
culturale si legittimi con il ricorso alla libertà e all'uguaglianza di tutti
gli individui, e non con un richiamo ad un ordine sociale, ad una tradizione o
a esigenze di ordine pubblico."