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Le feste sono lo specchio di una società. Le modalità, le tradizioni che vengono tramandate di anno in anno, mostrano i caratteri e le peculiarità della gente. Inoltre, allo “scheletro” iniziale di una festa e o celebrazione, sia aggiungono di volta in volta particolari, riti e usanze che la volta dopo cambieranno ancora.

E’ proprio questo, infatti, che indica il cambiamento dei gusti e del modo di pensare della società; se, ad esempio, scompare un certo rito o cambia la procedura di una celebrazione, si può risalire a quei fattori antropologici, culturali e storici che hanno influenzato la determinata festa.

 

Tutto questo è emerso dalle interviste e dai racconti di “vecchi mugellani”, dai quali si è pure visto quanto sono cambiati gli usi e costumi del Mugello di una volta; dalla realtà di “valle” chiusa, circondata dagli Appennini, a località aperta e sempre più conosciuta, in vertiginosa crescita.

 

A questo proposito si è potuto riallacciare il filo conduttore del Progetto, cioè l’integrazione. Sotto questo punto di vista, i mugellani sono ancora restii ad aprire le porte del Mugello a gente straniera, ma ciò è più che comprensibile vista la realtà nella quale esso ha riversato per tanti e tanti anni.

TESTIMONIANZE DIRETTE



Renzo Milani è un uomo sugli ottanta anni, professore che ha insegnato in Francia e in altri paesi europei. Il giorno undici aprile 2001 ci ha ospitato nella sua casa di Scarperia per parlare di come le feste (religiose e di costume) sono cambiate nel corso degli ultimi cinquant’anni. Il prof. Milani ci ha esaurientemente descritto queste feste, riferendosi anche ad avvenimenti storico-politici che in qualche modo hanno contribuito a cambiare lo svolgimento di feste come il Diotto e l’Infiorata.

 

 

D- Quali possono essere le origini del Diotto?

R- Il Diotto viene festeggiato l’otto di settembre; con esso si celebra la fondazione di Scarperia (il       giorno in cui la repubblica fiorentina ha deciso di costituire il Vicariato di Scarperia, che comprendeva nel momento della sua massima espansione, i territori di Sesto, Fiesole e altri comuni del Mugello, n.d.r.).

Il Diotto nasce come festa religiosa in onore della Madonna; si può quindi affermare che l’otto settembre è stata scelta un po’ come data convenzionale, volendo ottenere una protezione da lei.

 

D- Quali possono essere dunque le cause per le quali il Diotto è giunto a noi come festa civile?

R- Non si può rintracciare una causa precisa. Fatto sta che questa festa è giunta a noi come propriamente civile, avendo perso praticamente ogni connotato religioso, eccezione fatta per la messa celebrata nella chiesa del paese (Chiesa di SS. Jacopo e Filippo, n.d.r.), alla presenza delle massime cariche dell’amministrazione comunale.

Leggendo la cosa da un punto di vista storico, si può pensare che la laicizzazione del Diotto coincida con la progressiva laicizzazione della popolazione italiana nell’ultimo dopoguerra. Infatti, proprio in questo periodo, ci fu un tentativo da parte del clero di riprendere in mano questa festa, tentativo tuttavia non riuscito proprio per un rifiuto da parte della gente.

 

D- Come si ricorda lei uno dei primi Diotto?

R- Mi ricordo che mia nonna mi raccontava degli spettacoli teatrali che venivano rappresentati in questa occasione; nel Diotto del 1912 si arrivò ad avere ben tre commedie in un solo giorno! Una era messa in scena dalla compagnia teatrale del comune, un’altra dal prete (che veniva rappresentata negli orti della famiglia Giovannini), la terza dalla compagnia di Firenze, che rappresentò “Le Due Orfanelle”.

C’erano il gioco delle bocce e della rulla (che veniva fatta a Borgo ed era stata adottata anche da Scarperia), al quale giocavano gli uomini di ogni età; si prendeva una forma di pecorino e la si lanciava, vinceva chi lo tirava più lontano. I giovani invece nei giorni di festa facevano i “nastri”, cioè andavano su e giù per il paese invitando le ragazze, sempre sotto l’occhio vigile delle mamme che stavano sotto l’uscio di casa a ricamare. Una delle raccomandazioni più frequenti era quella di non uscire dalla lastre (le pietre con cui il paese è pavimentato, n.d.r.), ma le ragazze più ribelli facevano apposta a mettere anche solo un piede fuori dalle lastre!

Quando ebbi occasione di organizzare un Diotto, feci in modo che ci fosse anche una commedia da rappresentare. Ricordo che, al momento di presentare il copione della commedia alla giunta comunale trovai l’opposizione dei democristiani, dato che lo spettacolo parlava, in toni un po’ provocatori, di un frate. Comunque la commedia riscosse parecchio successo fra la gente del paese, e ciò mi incoraggiò a proporre un programma per una futura stagione teatrale, che però non fu approvato.

Un altro elemento folcloristico oggi in parte scomparso è la banda municipale.

Rammento che, intorno al 1930/35 (io avevo sui quindici anni) la banda era una delle maggiori attrazioni del Diotto e dei giorni che lo precedevano (i festeggiamenti oggi durano in tutto circa quindici giorni; a causa di questo la mostra dei coltelli è stata spostata a primavera, n.d.r). I musicisti erano tutti scarperiesi, e la loro esibizione era alquanto spettacolare, soprattutto per la collocazione dei suonatori; una tromba sulla torre, quattro sul campanile e il resto della banda in piazza. Iniziava a suonare la tromba sul campanile che, ricordo ancora, era Rocchetto il marmista! Al suo assolo rispondevano i quattro sul campanile, a cui poi si univa tutto il resto della banda.

La tombola era un evento che riuniva anche la gente dalle campagne (in palio oggi c’è un milione, n.d.r.), e noi ragazzi ne approfittavamo per andare a rubare le pesche…

 

D- Come si è evoluto il corteo che apre i festeggiamenti?

R- Prima il corteo dalla chiesa della Madonna dei Vivai, dove veniva celebrata la messa. In cima c’erano i valletti del comune che portavano il gonfalone di Scarperia, con i caratteristici costumi bianchi e rossi (presi in prestito dal corteo del calcio in costume a Firenze). Dietro c’erano i suonatori con le chiarine d’argento (una specie di piccole trombe allungate, n.d.r.).

Solitamente veniva rievocata una scena storica, come l’incontro fra due personaggi illustri.

Una volta fu rappresentato l’incontro fra il duca (che veniva da Firenze) e il Vicario, all’entrata di Scarperia; proseguivano in corteo verso nord dove avrebbe incontrato la sua amante che veniva da Venezia. Questo fatto fu però considerato “sconveniente” visto che il duca era sposato, Quindi l’anno seguente proposi di rappresentare l’incontro con Machiavelli, in onore del centenario del Clasio. Il corteo seguiva Machiavelli, ed il giro durava due ore e mezzo; da ciò ebbi l’idea che ogni cittadino si comprasse il vestito per il corteo, in modo che l’anno seguente la famiglia facesse rivestire i figli. La mia idea però non fu accettata, e il corteo per qualche anno non fu fatto, ma ora ogni famiglia ha i suoi vestiti.

 

D- C’è qualche correlazione fra questo e la giornata rinascimentale che viene rappresentata oggi?

R- Indubbiamente. Durante la giornata rinascimentale i paesani si vestono usando i propri vestiti; in questo modo si può avere la certezza che la tradizione si tramanderà, poiché ognuno ha in casa il vestito. In questa occasione si rievoca una giornata di vita comune del rinascimento fiorentino, con i contadini, i cortigiani, le botteghe degli antichi mestieri e si può degustare semplice cibo tipico fiorentino. Quindi è rimasto l’elemento del corteo; inoltre c’è ancora la possibilità di provare “antichi sport” come il tiro con l’arco e il lancio dei coltelli, cosa che dura da un po’ di anni.

 

D- E il Palio?

R- Il Palio è un avvenimento che continua da tanto e che continua ad attrarre la gente. Ancora oggi si apre con i corteo che parte dal Palazzo dei Vicari, composto non più esclusivamente dai compaesani, ma anche dagli sbandieratori di Firenze. La banda, anche questa composta da musicisti “forestieri”, suona il suo motivo, a cui segue il discorso del sindaco: iniziano così i giochi, che consistono ancora oggi nel lancio dei coltelli, tiro alla fune, corse nelle bigonce, corsa con i mattoni, palo della cuccagna. Vengono disputati fra i vari rioni di Scarperia, e al vincitore va il gonfalone del Diotto. I giochi sono dunque la maggiore attrattiva per i giovani.

 

D- La festa dell’Infiorata; è una festa tipica di Scarperia o “importata”?

R- Innanzitutto c’è da dire che la festa dell’Infiorata è una festa relativamente recente, e non è tipica di Scarperia, ma è stata presa in prestito da altri paesi, tipo Pienza, che fanno da tanto questa festa.

 

D- In cosa consiste?

R- Le vie vengono addobbate da miliardi di fiori, che vengono usati per colorare i disegni fatti per le vie. Oggigiorno i fiori vengono presi da fuori (spesso da Lucca), ma prima venivano organizzate delle vere e proprie giornate di raccolta, che coinvolgevano tante famiglie. Oggi si è perso molto il significato di questa festa.

 

D- E questo perché?

R- Beh, è facile capirlo. Prima la gente aveva più tempo a disposizione, anche per fare cose come andare a raccogliere tutti insieme i fiori per l’Infiorata, mentre oggi (anche perché si è perso il significato di comunità che ci poteva essere fra i contadini di Scarperia di 40/50 anni fa) resta naturalmente più comodo e meno impegnativo andare a prendere i fiori anche molto lontano.

 

D- Quali sono stati i principali cambiamenti?

R- Non ci sono stati cambiamenti particolarmente evidenti, sarà anche perché, essendo una festa presa da altri paesi, è stata subito riadattata a quelli che potevano essere i “gusti” degli Scarperiesi.

Comunque, mi torna alla mente che nel 1953 l’Infiorata era diventata una vera propria gara al disegno più bello fra via Melai e via Solferino, le quali erano state addobbate dagli abitanti e dai negozianti proprio come dovesse essere una gara!

Inoltre ricordo che nel 1934 ci fu la visita di Mussolini, e la casa del Fascio si dette da fare per far si che ci fossero molti Scarperiesi ad assistere al discorso che il duce avrebbe tenuto dal balcone del palazzo. A questo scopo fu proclamata Festa civile, ma si sa, gli Scarperiesi sono sempre stati gente di sinistra, e trovarono mille scuse…una famiglia in gita domenicale (l’Infiorata avviene l’ultima domenica di maggio, n.d.r.), gli uomini a pescare….fatto sta che in piazza ad ascoltare il duce non andò nessuno!

 

D- Una panoramica sulle feste in generale?

R- Gli Scarperiesi sono sempre stati un paese di gente amante delle feste, come tutti gli altri del resto. In definitiva comunque, i cambiamenti nella tipologia e nello svolgimento delle maggiori feste quali possono essere il Diotto e l’Infiorata sono dovuti ai cambiamenti storici e di costume che si sono succeduti negli anni.

 Le mode, i gusti che cambiavano negli anni, hanno logicamente modificato le feste, che sono uno dei maggiori fenomeni di costume che attraversano gli anni senza mai scomparire del tutto.

 

 

 

Gina Martini ha settantaquattro anni. Ha sempre vissuto a Scarperia, e una grande passione per la scrittura. E’ per questo che ha deciso di darci la sua testimonianza sugli usi, i costumi e le feste attraverso un racconto semplice ma esauriente, scritto nel dicembre del 2000.[1]

 

 

“ Ho settantaquattro anni e il desiderio di scrivere il mio passato, Brutto e Bello.

Brutto per la povertà, Bello per le amicizie, e l’affetto delle persone del Vicinato, che ora non c’è più.

Si facevano km a piedi per andare a trovare un’amica o una persona malata era molto bello sentirsi vicino l’uno con l’altro.

Nelle famiglie dei contadini come la mia si passava le giornate d’inverno nelle stalle per difendersi meglio dal freddo, gli uomini preparavano attrezzature che poi occorrevano durante l’anno, scale, canestri, e infine zoccoli dal tronco di un oppio, che poi si usavano anche per andare a scuola quando pioveva, noi donne, io bambina, si faceva la calza, cioè camiciole di lana ed altro, e ricamo per il corredo.

Così passavano le giornate d’inverno, aspettando il Natale, nella mia famiglia c’era molta fede e la mattina suonava la campana per la novena ci si alzava presto, molte volte, si camminava in piccoli viottoli fra la neve ghiacciata per andare alla chiesa, e così ci si preparava per il Santo Natale. Senza doni.

Poi arrivava la befana, allora sì che era festa! Si preparava la sera la calza sotto il camino, e la bramosia di vedere cosa c’era non si dormiva neppure la notte. Quella calza con piccole cose, una bambola da poco, due tegamini di terracotta, qualche arancia, anche un po’ di carbone, ma era quel poco che ci rendeva felici, e che ancora oggi ricordo.

A sette anni incominciai ad andare a scuola, ero molto gracile e stenterella, mangiava poco, la mia maestra mi volva molto bene, mi ricordo anche ora quando mi portava dietro la lavagna, e si provava a darmi un uovo sbattuto, che a casa non ho mai voluto.

Allora non c’erano le merendine e neppure tante pietanze da scegliere, quando tornavo da scuola trovavo vicino al fuoco un piccolo tegamino con fagioli il giorno seguente erano patate solo il Venerdì era baccalà.

I polli che crescevano nel pollaio, gli portavamo al mercato e il ricavato serviva per comprare l’olio biancheria ed altre spese.

Sembra raccontare novelle ai nostri nipoti….

Alla primavera incominciava il lavoro nei campi, il mio compito era di portare la colazione a mio padre e lo zio che lavoravano già da qualche ora, ricordo bene quel canestro che quasi lo fregavo in terra, con dentro qualche fetta di polenta arrostita, cipolle, e qualche manciata di noci.

Arrivava però l’estate, era così bello stare all’aria aperta, l’odore del fieno, il grano che maturava, le lucciole nel buio che illuminavano i campi, le farfalle nei prati, i grilli la sera cantavano in coro, io appoggiata alla finestra della mia cameretta ascoltavo e dicevo come è bella la natura, ma di quelle cose così belle ora è rimasto solo il ricordo.

A luglio c’era la mietitura il compenso di una lunga fatica, il grano tagliato a mano, con piccole falci raccolto a covoni, fatto una barca in mezzo all’aia, e tanti contadini che si prestano per la mietitura, scambiando le giornate, quando toccava a loro. Il mio compito era di portare sull’aia, acqua e vino, ricordo bene quelle facce piene di polvere e sudore, però sempre sorridenti, e con la voglia di scherzare, alla fine terminava con una bella tavolata che la massaia serviva con minestra in brodo di papero che era cresciuto proprio per quella occasione, un buon vino e alla fine anche qualche stornello.

La vendemmia era l’ultima festa della stagione la gente del paese veniva alla campagna a darci una mano, e portare a casa alla sera la vendemmia ai suoi bambini.

Si raccoglieva l’uva con dei canestri, poi si arrovesciava in bigonce che veniva ammostata con un grosso legno chiamato ammostatoio, messa sopra ad un carro, e per mezzo dei buoi, veniva trasportata al tino.

A mezzogiorno si mangiava nel campo, era così bello in compagnia, seduti per terra, e sulle bigonce vuote, era l’ora della polenta unta, oppure baccalà, con noci, formaggio, frutta di campo.

Ora dove c’erano quelle viti è nata una fabbrica, e di quei bellissimi frutti e di quei filari di viti è rimasto solo il ricordo.”

 

 

 

Lorenzo Bartolini ha settantacinque anni. Ha sempre vissuto a Scarperia, dove faceva il coltellinaio, mestiere tipico del paese. Nell’intervista alla nipote ha parlato della sua gioventù, delle tradizioni e delle feste.

 

D- Quale era la festa più importante e attesa da un giovane?

R- Sicuramente la Befana, perché si ricevevano doni, cosa che a Natale non c’era. Nella calza che

veniva appesa al cammino si trovavano i mandarini, noccioline e a volte carbone!

 

D- E quindi era un Natale senza doni?

R- Eh si, non era come oggi! La cosa importante era ritrovarsi, stare tutti insieme, per un giorno

dimenticare tutti i problemi. I nostri zii abitavano a Firenze, quindi venivano tutti a Scarperia dato che il resto dei parenti abitava a Scarperia. Andavamo tutti insieme a mangiare al ristorante, si facevano delle tavolate!

Il giorno dopo, per Natalino (S. Stefano, 26 dicembre, n.d.r), andavamo a mangiare a casa di uno di noi; c’era una specie di “turno” per esempio se un anno eravamo andati a casa degli zii di Firenze, l’anno dopo si andava a casa nostra.

 

D- Una festa che ti è rimasta particolarmente impressa?

R- Mi ricordo con piacere la festa di Santa Maria del 15 agosto.

Tutti i contadini del vicinato si riunivano a Fagna (zona di Scarperia che si trova all’entrata del paese, venendo da San Piero a Sieve, n.d.r), e mangiavamo tutti insieme una fetta di cocomero, essendo piena estate e quindi molto caldo.

 

D- Ma se non sbaglio la festa di Santa Maria c’è ancora oggi…

R- Si, ma oggi oltre al cocomero, ci sono proprio pranzo e cena organizzati dalla Parrocchia di Fagna, e non dura solo un giorno, ma una settimana.

 

D- Posso capire che era molto forte il senso del gruppo e di comunità, non è così?

R- Certo…oltre al Natale e alle altre feste comandate, nelle quali ci riunivamo tutti, parenti ed amici, c’erano anche altre occasioni per stare insieme.  Molto in voga fra noi giovani degli anni ‘45/’50 era la “gita” a Senni, o meglio, alla Villa di Senni (La “Limonaia”, n.d.r); partivamo la mattina a piedi, tutti noi ragazzi, insieme ad un “responsabile”. Le ragazze andavano davanti, i ragazzi dietro, mentre i ragazzi più grandi venivano con le biciclette e davano noia alle ragazze…il responsabile era sempre a rimporverarli.

Arrivati alla Villa, mangiavano il pranzo portato da casa, e stavamo li il pomeriggio divertendoci, fino alle cinque, ora di tornare a casa.

Altre volte, invece, facevamo la gita al Giogo, ma per andarci prendevamo un camion, dove salivamo dietro.

 

D- Cosa altro ricordi bene di quando eri giovane?

R- I tempi della scuola…sino dalla prima elementare sono andato a scuola a Scarperia nelle baracche che erano state costruite vicino ai giardini perché c’era stato il terremoto, e dalla seconda alla quinta ho sempre avuto la stessa maestra per tutte le materie, e visto che le classi non andavano per età ma c’era una classe unica, lei ci seguiva tutti; a scuola ci andavo a piedi visto che era vicino a casa mia, mentre alle medie, che ho fatto a Borgo, ci andavo in bicicletta con i miei amici. Quando pioveva ci mettevamo un grande mantello, ma ci bagnavamo lo stesso, quindi ci portavamo la maglietta di ricambio, i pantaloni non importavano perché erano sempre corti, e una volta arrivati ci cambiavamo e mettevamo la roba molle ad asciugare sulla stufa della classe.

Quando andavamo a scuola solo la mattina tornavamo verso le due e mezzo, mentre quando dovevamo rimanere anche il pomeriggio, mi pare che finissimo alle sei, ci portavamo il pranzo dietro e lo mangiavamo insieme. Quando tornavamo a casa era già buio, noi eravamo sette od otto, e le nostre madri venivano a riscontrarci.

 

D- Quali erano i maggiori divertimenti per voi giovani?

R- A noi ragazzi bastava un pallone per divertirci, giocavamo sempre, anche per le vie del paese, poi quando io sono diventato più grande hanno costruito anche il cinematografo e quindi è diventato

un luogo per passare il tempo sia per noi ragazzi sia per e ragazze.

 

D- Gli usi di una volta ti sembrano cambiati molto rispetto oggi?

R- Mi sembrano cambiati: le diversità tra ieri e oggi sono molte, anche se le tradizioni e le feste di

Scarperia sono rimaste, non come erano un tempo, ma più ricche e meglio organizzate, comunque si può dire che si sono sviluppate come tutto il paese.  

 

 

 

Pia Giannini è nata a Galliano nel 1926, ed ha sempre vissuto nel Mugello, tra Prugnana (frazione di Galliano), Lumena e Scarperia in seguito.

Assunta Giannini, nata a Galliano nel 1923, è la sorella. Anche lei ha vissuto negli stessi posti della sorella. Entrambe si sono trasferite a Scarperia dopo il matrimonio, rispettivamente nel 1951 e 1948.

 

[P]= Pia       [A]= Assunta

 

D- Qual è la cosa più piacevole che vi ricordate della vostra gioventù?

A- Ci sono tante belle cose da ricordare, che però si accompagnano ad avvenimenti tristi come la Guerra. Indubbiamente la cosa più bella era il senso di unione, lo stare insieme, fra vicini e fra parenti, eravamo sempre pronti ad aiutarci per il lavoro nei campi, che una famiglia da sola difficilmente poteva fare.

P- E’ vero. La mietitura, la vendemmia erano tutte occasioni di ritrovo fra tutta la gente che aveva partecipato al lavoro. Soprattutto la mietitura: questa era una vera e propria festa…E festa voleva dire (ma ancora oggi vuol dire) mangiare tutti insieme. Era proprio una giornata intera, che passava fra tavolate e lavoro.

A- Infatti a colazione eravamo insieme, donne di casa e zie, zii e uomini, poi si andava a lavorare, ed era faticoso, non come oggi che ci sono tutti quegli attrezzi meccanici; mi pare che a Fagna facciano ancora la festa della battitura, e il grano viene battuto proprio con le macchine di una volta, come si faceva noi; si usava la mietitrice, poi il grano veniva ammucchiato in serque. Poi c’era il pranzo, poi ancora lavoro, e alla fine la cena, che concludeva la giornata della mietitura, che era una data veramente importante per la vita contadina.

 

D- Quindi molte feste sono da ricollegarsi a alla vita contadina?

P- Certo, perché in fondo erano i ritmi con i quali si svolgeva il lavoro e quindi anche la nostra vita.

A- Erano occasioni non solo per mangiare insieme e stare riuniti, ma anche per festeggiare mesi e mesi di lavoro… Feste più che meritate quindi!

 

D- Altre feste?

P- Eh, mi ricordo più che bene le feste del sabato sera! Quanto si è ballato!

D- Ballavate il sabato sera? Tutti i sabati?

A- Eh si, praticamente ogni sabato. Una volta a casa nostra, un’altra a casa di un altro e via così…Ma non si iniziava mica a ballare a notte fonda come voi giovani d’oggi, no Pia?

P- Eh no, si cominciava verso le otto di sera…Sai, eravamo nelle case, non si poteva fare tanto chiasso… Era un gran divertimento, ballavamo tantissimo! Io all’epoca, o perlomeno quando iniziai a partecipare a queste feste, avrò avuto 16 anni, lei (Assunta, n.d.r.) sui 19, o giù di li. Quindi io non ballavo ancora, o meglio, mi insegnavano a ballare…

A- E’ vero! Ci insegnava il nostro cugino, le cugine, che avevano sui 20 anni…

P- Poi verso mezzanotte si smetteva di ballare e ci si metteva a mangiare pane e mortadella…A quel tempo, per noi contadini, era un vero lusso!

 

D- E per quanto riguarda le feste religiose invece? Il Natale, per esempio?

A- Allora, innanzitutto bisogna dire che il nostro Natale non era come ora. Mica c’erano i regali! E la giornata si svolgeva con i ritmi usuali del lavoro nei campi.

P- Infatti la mattina gli uomini andavano a lavorare nei campi, noi donne in casa, a fare le faccende e preparare il pranzo. La nostra era una famiglia molto religiosa, quindi la notte di Natale andavamo alla messa, dopo aver seguito tutte le novene.

A- Così, dopo i lavori della mattina, ci riunivamo a mangiare per il pranzo; tagliolini (tipo tagliatelle, n.d.r.) con i brodo di cappone allevato per quell’occasione, e di secondo cappone, patate lesse…

P- E il dolce! Variava.. dai biscotti alla pasta reale (tipo Pan di Spagna, n.d.r), tutto fatto in casa, e non era detto che i dolci ci venissero sempre bene…se cuocevano bene, era meglio perché si mangiavano, se no…Niente!!!

A- La cena invece…erano gli avanzi del pranzo. Come oggi, il pranzo era la parte più importante del Natale. Dopo di questo, si stava un po’ lì intorno al fuoco, poi noi giovani si andava al vespro e chi rimaneva a casa faceva le faccende, o badava agli animali.

 

D- Per Pasqua invece?

P- Per Pasqua, dopo essere andati alla messa ed aver benedetto le uova, si tornava a casa e ognuno mangiava il suo uovo, facendosi il segno della Croce, dicendo un Padre Nostro e un Gloria al Padre.

Poi si faceva la colazione, naturalmente dopo aver governato le bestie, tutti a tavola, e mangiavamo uova sode (benedette), frittata con la carne secca, e il pane, bevendo un po’ di Vin Santo.

A- Il pranzo invece era abbastanza ricco…Crostini con i fegatini di pollo, minestra con i tagliolini fatti in casa e brodo di cappone, di secondo cappone e patate fritte, arista di maiale arrosto. Di frutta mangiavamo uva, a volte mele o noci, mentre per dolce facevamo biscotti soffici o pasta reale.

P- Il pomeriggio lo dedicavamo agli animali, e dopo andavamo alla messa, per arrivare alla cena…e poi tutti a letto!

 

D- La festa più gradita a voi, quando eravate bambine?

A- Senza dubbio la Befana! Perché era la festa nella quale ricevevamo regali…

P- Sempre cose da poco, ma facevano piacere….si appendeva la calza al camino e dalla bramosia di vedere cosa c’era non si dormiva nemmeno la notte!

A- C’erano mandarini, arance, noci….frutta di questo tipo, a volte una bambola di pezza e anche carbone.

                                              

DESCRIZIONE DELLE FESTE



Le descrizioni di tutte le feste (soprattutto religiose) che si riscontrano durante l’anno a Borgo S. Lorenzo, le possiamo trarre da un diario scritto tanti anni fa. Gli appunti non hanno alcuna pretesa letteraria. 

 

Gennaio - Il primo dell’anno in Pieve, si fa la festa Qdella bestemmiaf, in riparazione della bestemmia e per la conversazione dei bestemmiatori. Vengono tutte la compagnie, con le vesti e i batoli. C’è la predica con Gesù esposto. Infine il pievano intona:

Q Deh! L’audace lingua frena,

scellerato peccator,

già si desta, grave, piena,

scende l’ira del Signor!f

 

20 gennaio - Festa di S. Sebastiano alla Misericordia. Mettono la statua del Santo sull’altare. Danno i panellini e gli iscritti pagano le quote. Un prete, che da poco ha cantato messa, fa il panegirico.

 

5 febbraio - All’alba, dalla pieve, parte la processione per mettere le croci di cere alle quattro strade. Il sagrestano, con la scala, sale a fissarle in alto. Tanti secoli orsono S. Agata salvò Borgo da un incendio e, per voto, si fece questa cerimonia.

 

Berlingaccio - C’è un gran via vai ai forni. Le donne portano a cuocere il migliaccio. A Borgo si fa con le uvine, i pinoli e, a chi piace, col ramerino.

 

Carnevale - Si balla al teatro Giotto. Vengono di fuori a suonare. Gli uomini ed i giovanotti pagano la quota e ricevono il fiocchettino per entrare in sala. 

A mezzanotte, per un’ora, suona la Grossa, dice addio alle feste e chiama la Quaresima. In teatro continuano a ballare fino al mattino.

Il lunedì, nel pomeriggio, alla Casa del Fascio hanno fatto la festa dei bambini, con le maschere ed i premi.

 

Le Ceneri - Il primo di quaresima, dopo aver prese le Ceneri, tutti i paesani, in Piazza Garibaldi, si fermano a mangiare la polenta. Il Comune fornisce farina, uova e formaggio.

Alle undici comincia la predica quaresimale che continua tutti i venerdì e le domeniche. In Pieve hanno fatto un palco, alto, per il Quresimalista. Alloggia in canonica e sta nella camera in alto.

 

Il Sabato di Passione - Il sabato davanti la domenica di Passione si velano le immagini ed i crocifissi: le chiese sembrano vestite a lutto.

Nelle compagnie cantano i Salmi penitenziali e si imparano le profezie. Domani il cappellano comincia la benedizione delle case di campagna e mangia dal Del Campana, martedì alla Brocchi e il giorno dopo, in Vigiano, al podere del piovano. Giovedì tanti preti benedicono il paese. Nelle case, danno il cinabrese in terra e mettono i lenzuoli puliti. Sulle federe c’è ricamato: QBuona Nottef e sugli asciugamani QBuon Giornof.

 

Domenica delle Palme - In Pieve ed al Crocifisso benedicono i rami di ulivo. Tre preti cantano il passio. Il piovano dall’altare fa la parte di Gesù. La Compagnia dell’Agonia raccoglie l’offerte e le quote. In molte case si mangia il migliaccio o le frittelle. Il mazzo d’olivo per il Comune è legato con un nastro al tricolore.

 

Giovedì Santo - I macellai fanno la mostra. Da Ciabarra hanno riempito la bottega di tronconi e di agnelli: sono tutti fioriti di carta.

I fornai vendono i panini di ramerino benedetti. Sono nominati quelli del fornaio di Sieve. Li condisce meglio con più zibibbo.

Stasera alle noce passa la Commissione del Comune e danno il premio alla macelleria più fornita: un diploma ed una medaglia d’oro falso.

Nelle campagne danno il pane benedetto. Gli Azzurri hanno ordinato al Viliani il pane con la farina di granturco e le uve.

Stanotte la pieve ed il Crocifisso rimangono aperte: a turno, i preti fanno la veglia. Anche alle Monachine è stato preparato il Sepolcro e i mezzo ai fiori si vedono i dadi, il gallo, la colonna, la spugna e il lenzuolo della Veronica.

 

Sabato santo - A mezzogiorno suonano le campane. Per la strada molte donne si inginocchiano. Si comincia a comprare per domani e a portare in forno.

 

Domenica di Pasqua - Il Crocifisso viene portato in Sieve. La sera torna alla sua chiesa. Prima di mangiare si dice il Padre Nostro e si comincia dall’uovo benedetto.

 

Lunedì Santo - Gli uomini vanno a rimetter Pasqua ai cappuccini.

Festa del Crocifisso. Dopo pranzo Borgo rimane deserto. Si va tutti al Bosco delle Fonti a far merenda e cena.

 

Maggio - Sull’altare in Pieve c’è la Divina Pastora. È una statua venuta da Napoli, in cartapesta. La Madonna ha il bambino al collo e regge per una cordicella una pecorina ricciuta. Alla madonna hanno messo il vezzo e le buccole; ai piedi ha tutti cuori d’argento.

 

Ottavario del Corpus Domini - la processione esce la notte, dopo le nove. Hanno tirato fuori il baldacchino bello, alle otto e mazzo. Lo portano le guardie comunali. In tutte le strade dove passa Gesù, i ragazzi hanno fatto le fiorite in terra: il calice con sopra l’ostia e il cuore rosso. Alle finestre mettono le coperte belle e i lumi. I Signori hanno una fila di lampadine elettriche colorate. Porta Gesù il Priore di Vespignano, il prete che, dopo il pievano, conta di più. Il Cappellano ha un batolo nero con i bottoncini rossi e gira lungo tutta la processione. Il Pievano ha quello rosso e sta vicino al podestà, dietro al baldacchino. Il Podestà ha la fascia tricolore in vita e regge l’ombrellino.

Al tabernacolo di Zeti e al piazzale di Curtanone hanno fatto un altarino per dare la benedizione.

Le campane suonano sempre. Ai campanai il Piovano ha dato dieci fiaschi di vino e il Comune offre la cena.

 

Pentecoste - È il giorno della prima Comunione.

In chiesa i bambini e le bambine che sono passati a Comunione, hanno dato la medaglia, il ricordino ed un panellino zuccherato. I bambini vanno a portarne un pezzetto ai parenti e ricevono regali o soldi.

 

Ultima domenica di luglio - Festa al SS. Crocifisso. Tutti vanno a quella chiesa. Ci sono tante candele e tanti che pregano. Fuori dalla chiesa vendono i santini e le corone.

Manovre ha rizzato il banchino con i duri, i croccanti, le noccioline americane e il torrone. C’è un banco di Lamporecchio che vende i brigidini. Il Tattone ha il cocomero n ghiaccio. A casa tutti hanno mangiato le pesche nel vino e il popone. Hanno detto che vengono da Faenza. Stasera c’è la tombola nei Fossi. Suona la banda.

 

S. Lorenzo - È festa del paese. Ieri sera al Comune, hanno accese le lampadine elettriche. Domani il Podestà porta il regalo alla Pieve: un fasci di fiori e due mazzi di candele.

Nelle case si mangiano i maccheroni con l’anatra. Si finisce col cocomero.

Stasera fanno le corse in bicicletta.

 

Ognissanti - In Pieve sono esposte le reliquie. Dopo pranzo fanno il catafalco di lusso a tre piani. Tutti vanno a ornare le tombe. In chiesa si sete odore di naftalina: hanno tirato fuori i cappotti.

In tutte le case si prega per i morti. Si ricorda la nonna, il nonno e il babbo, erano tanto buoni! Si rivedono per le stanze.

A notte, si aspetta il suono della campana delle nove. Ci ricorda la buona notte ai nostri morti. Ci accompagnerà fino a carnevale, tutte le sere. I qualche casa si festeggia col gioco del Qrocchiof. La nonna, ciondoloni al commino, mette un rocchio di salsiccia; chi primo sentirà la campana lo vince.

 

I Morti - Al mattino benedicono il cimitero della Misericordia, verso mezzogiorno. È il cimitero dei ricchi. Vengono persone da Firenze che mettono sulle tombe fiori che costano tanto. Vengono dalla Riviera.

Dopo pranzo subito, si benedice il cimitero del Comune. Le campane mettono tristezza con tutto il dan, dan. Fano piangere.

Il quattro novembre si porta la corona al Monumanto. Suona la fanfara. Montano la guardi.

 

Immacolata - Sull’altare della Misericordia mettono la Madonna di gesso con le lampadine accese. Le Figlie di Maria pregano a turno.

 

Novene di Natale – Ci sono a tutte le ore. In tutte le chiese del paese. Dalle Monache, il cappuccino intona e rispondono dall’alto delle grate le Suore. La voce sembra venire dal Paradiso. Suonano l’organo.

In cappella giunge il profumo dei biscotti che le Monache fanno a pagamento. Le Monache fanno anche i Gesù Bambino di cera: li mettono nelle campane di vetro, in mezzo ai fiori e alle pecore. Costano tanto!

 

Natale – La vigilia di Natale tutti mangiano di magro. Si sente dire:

Qchi non fa la vigilia di Natale, corpo di lupo, anima di canef.

Si preparano i cappellotti. In ogni madia c’è un ciambellone ed in ogni vetrina un panforte. Senza di questi non sarebbe Natale!

Dalle nove suonano continuamente per la messa di notte. Tutte le chiese restano chiese, solo la Pieve è aperta e illuminata. Gesù Bambino è già sull’altare, coperto da un fazzoletto bianco. Al Gloria, il Nicci lo toglierà e Gesù verrà a sorridere a tutti. i confratelli delle Compagnie cantano il Mattutino. Beppe del Vigiani, governatore dei Rossi, legge le profezie. Il Rinaldelli, capo degli Azzurri, intona il Te Deum. Spetta al Priore D’Olmi cantare la messa. Alla fine, il Pievano porta Gesù in culla nel presepio. Prima lo dà a baciare. Molte donne piangono. Tutti cantano:

Qtu scendi dalle stelle…f.

Le stelle stanotte sono più lucenti, ma il cielo minaccia neve. È tanto bello il Natale bianco.

INTEGRAZIONE: TESTIMONIANZE DIRETTE

Abbiamo intervistato dei mugellani a proposito dell’integrazione e della multiculturalità. Ecco cosa ci hanno detto.

 

 

Angela, 71 anni, pensionata:

“A Scarperia c’è tanta gente non originaria di qui. Ci sono tanti che vengono dal sud ad esempio, soprattutto perché c’è il cantiere dell’Alta Velocità che ha portato tanto lavoro. Ormai non si sente più parlare in scarperiese! Questo perché c’è tanto afflusso di gente del sud, o anche straniera. Questa situazione non mi piace tanto, anzi, secondo me parecchia gente porta molta criminalità.”

 

Bruno, 65 anni, pensionato:

“Da qualche anno a questa parte, nei nostri piccoli paesi si è visto tanta gente che viene da lontano, per vari motivi; lavoro, famiglia… Ma soprattutto è il lavoro uno dei motivi principali per i quali c’è una così forte affluenza di persone di culture e paesi diversi: basta pensare al T.A.V.

E comunque Firenze offre tante opportunità di lavoro, ed è facile che la gente che lavora in città viene ad abitare in questi paesi.”

 

Enzo, 75 anni, pensionato:

“In questi ultimi anni son meno gli italiani degli stranieri! Basta andare al bar e senti parlare un sacco di lingue, dialetti… Tutta questa gente viene ad abitare qui per il lavoro. I giovani d’oggi, i nostri giovani, non vogliono fare il muratore, o lavorare in un cantiere, e così prendono gente da fuori.”

 

Luisa, 30 anni, negoziante:

“La società degli ultimi anni è diventata multiculturale, ed è bene sia così. D’altra parte, l’Italia sta entrando in Europa, ed è giusto che sia anche un paese aperto verso gli stranieri, o meglio ancora verso le persone delle altre regioni italiane. Non si può pretendere di entrare in Europa se poi non accogliamo i nostri stessi connazionali nei nostri paesi. Credo che i più restii a questo nuovo tipo di società siano gli anziani, ma questo è più che comprensibile, mentre una posizione di chiusura e ostilità non è accettabile da parte delle nuove generazioni.”

 

Alessandro, 45 anni, bancario:

Io credo che il problema dell’integrazione non sia affatto un problema. Voglio dire, siamo nel 2001, l’Italia è nel G8 e finalmente nell’Unione Europea, stiamo per adottare la moneta unica.. eppure ci sono persone che manderebbero tutti gli stranieri a casa loro. La cosa peggiore però è che non si accettino neanche connazionali, solo perché sono di altre regioni e parlano un altro dialetto. C’è tanta disinformazione fra la popolazione, sembra che per molti immigrato sia uguale a delinquente. I criminali sono stranieri come sono italiani, così come le persone che hanno voglia di lavorare. Non si può fare di tutta l’erba un fascio.”

 

Sandra, 52 anni, operaia:

“Non sono affatto a favore dell’integrazione, assolutamente. Anzi, sono convinta che gli extra comunitari che vengono in Italia con la scusa del lavoro, che loro stanno male etc, finiscono per avere tutto per così dire, e non è affatto giusto.”

 

 

 

Alessandro, 25, laureando in economia e commercio:

“Secondo me l’integrazione non è affatto una soluzione, casomai è un problema. Non serve a molto accogliere a braccia aperte tutti gli extra comunitari che arrivano in Italia con la speranza di lavoro e ricchezza. Credo invece che bisognerebbe intervenire alla radice del problema, migliorando ad esempio le strutture dei paesi svantaggiati. Molti hanno il miraggio dell’Italia come il Bel Paese, ma in fondo non è così, e questa è solo un’immagine che ne danno i media.”

 

Luciana, 69 anni, pensionata:

“Mi addoloro assai quando sento le notizie riguardanti lo sfruttamento degli extracomunitari. Penso che fra loro ci siano persone buone e no, come dappertutto. Anzi, credo che loro siano ancora più svantaggiati, perché sono continuamente sottoposti a soprusi, e tutto ciò è disumano. Basterebbe un po’ più di volontà da parte di tutti per convivere bene insieme.”