Franz Schubert

(Lichtenthal, Vienna 1797 – Vienna 1828)

Ricevute le prime nozioni musicali dal padre (maestro di scuola e violoncellista dilettante), dal fratello maggiore e dall’organista della chiesa del suo paese, nel 1808 Schubert riuscì ad entrare come corista nel coro della cappella imperiale, con diritto di vitto, alloggio e un’istruzione generale. Dal 1812, inoltre, poté studiare composizione con Antonio Salieri. Incapace di adattarsi alla disciplina di un impiego regolare, preferì condurre una vita libera da impegni familiari o matrimoniali e perfino dalle regole della società. Costantemente in difficoltà finanziarie, visse perlopiù ospite di amici, molti dei quali erano dichiaratamente omosessuali, e fu proprio grazie al loro aiuto economico che poté continuare a dedicarsi alla composizione. Dell’ampia cerchia di amici facevano parte studenti, intellettuali, artisti come il baritono J. M. Vogl (primo interprete di molti suoi Lieder), i poeti J. Mayrhofer e F. von Schober, i pittori M. von Schwind e L. Kupelwieser, e molti altri. Nonostante l’appoggio degli amici, tuttavia, l’attività compositiva di Schubert non ebbe mai i dovuti riconoscimenti, anzi fu piena di frustrazioni. Nel dicembre 1822 Schubert si ammalò di sifilide e stette per diversi mesi in condizioni preoccupanti; se, da una parte, le sue capacità creative ne uscirono indenni, anzi rafforzate, dall’altra la sua salute ne rimase minata e si spezzò definitivamente la sua serenità spirituale. Morì nel 1828 di febbre tifoidea.

Schubert è ormai unanimemente riconosciuto come il grande maestro del Lied romantico, il musicista attraverso il quale la breve composizione vocale da camera diventa veicolo di folgoranti rivelazioni, legate a invenzioni melodiche e a intuizioni armoniche di straordinaria originalità. Sebbene risulti difficile fare una classificazione formale degli oltre 600 Lieder composti da Schubert, dal momento che essi nascono spontaneamente sul testo poetico, essi possono essere schematicamente racchiusi tra due estremi: quello della stroficità più elementare e quello del Lied durchkomponiert (di forma aperta, senza ripetizioni, simmetrie o schemi), con infinite possibilità intermedie.

La produzione di Schubert, tuttavia, oltre ai Lieder, comprende anche sinfonie, sonate per pianoforte, musica da camera, opere ed altre composizioni di grande valore ed originalità. Sarebbe, dunque, riduttivo voler circoscrivere Schubert alla sfera del Lied o delle piccole forme (Momenti musicali, Improvvisi). Sarebbe, infine, riduttivo anche voler ravvisare nel compositore austriaco soltanto il poeta della cordiale o malinconica tenerezza intimistica, senza cogliere gli aspetti più tragici e ambigui, talvolta davvero sconvolgenti, del suo pensiero musicale.

Testo: Franz Von Schober

Musica: Franz Schubert

An die Musik

Du holde Kunst, in wieviel grauen Stunden,

Wo mich des Lebens wilder Kreis umstrickt,

Hast du mein Herz zu warmer Lieb entzünden,

Hast mich in eine bessre Welt entrückt!

Oft hat ein Seufzer, deiner Harf entflossen,

Ein süsser, heiliger Akkord von dir

Den Himmel bessrer Zeiten mir erschlossen,

Du holde Kunst, ich danke dir dafür!

 

Alla musica

Oh arte sublime, in quante ore grigie,

Quando mi soffocano le tristi vicende della vita,

Mi hai acceso il cuore di un caldo amore,

Mi hai rapito in un mondo migliore!

Sovente un sospiro, sgorgato dalla tua arpa,

Un tuo dolce, divino accordo,

Mi ha dischiuso il cielo a tempi migliori;

Oh arte sublime, grazie per questo!

 

 

Franz von Schober (1798-1882) nacque in Svezia in un castello vicino a Malmö e visse, a partire dal 1808, a Vienna, essendo sua madre austriaca.

Divenne poeta e librettista e fu amico di Franz Schubert, che fra l’altro sostenne economicamente. Ha scritto il libretto dell’opera "Alfonso ed Estrella" e numerose poesie successivamente musicate da Schubert.

Dal 1839 al 1847 fu segretario personale di Franz Liszt, visse a Praga ed in Germania a Weimar e Dresda.

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Questo breve componimento costituisce una lode della musica. Nella prima strofa essa viene a rappresentare una fuga dalle "ore grigie" della vita, cioè dalla monotona quotidianità, concepita quasi come una prigione soffocante, in cui l’uomo soffre di claustrofobia. La musica gli infonde nel cuore un dolce amore, che lo eleva in una dimensione migliore, trascendente la materialità e le contingenze della vita. Nella seconda strofa questa idea di purificazione e di liberazione dell’uomo attraverso la musica viene ribadita. L’arpa è personificata e dotata di una propria anima e il suo accordo è come un sospiro che dischiude il cielo all’uomo. L’arte ha insomma una funzione catartica che mette l’uomo in contatto con la dimensione spirituale della realtà. In conclusione il poeta la ringrazia direttamente per ciò che essa compie nella sua anima.

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Il Lied "An die Musik", composto da Schubert nel 1817, presenta una struttura strofica, basata sulla bipartizione AB-AB, con l’aggiunta di un’introduzione, un interludio tra le due strofe e una coda finale del pianoforte. Ogni strofa, a sua volta, risulta divisa in due parti: i primi due versi (elemento musicale A) presentano un carattere più narrativo, mentre gli ultimi due (elemento B) sono più appassionati. Il quarto verso di ogni strofa viene ripetuto due volte, come per ribadirlo: la prima volta con un crescendo che culmina nelle parole "mondo migliore" e "io ti ringrazio", la seconda volta più piano. Questo Lied è pervaso da un clima di serenità e armonia, prova della forza consolatrice della musica per l’animo umano.

Testo: Friedrich Rückert

Musica: Franz Schubert

Du bist die Ruh

Du bist die Ruh,

Der Friede mild,

Die Sehnsucht du

Und was sie stillt.

 

Ich weihe dir

Voll Lust und Schmerz

Zur Wohnung hier

Mein Aug und Herz.

 

Kehr ein bei mir

Und Schließe du

Still hinter dir

Die Pforte zu.

 

     

Treib andern Schmerz

Aus dieser Brust!

Voll sei dies Herz

Von deiner Lust.

 

Dies Augenzelt,

Von deinem Glanz

AIlein erhellt,

O füll es ganz!

 

Friedrich Rückert, nato a Schweinfurt (Franconia) nel 1788, studiò diritto e filosofia a Würzburg e a Heidelberg, ma si laureò nel 1810 a Jena con la tesi "De idea philologiae". Si dedicò allo studio delle lingue antiche e moderne e in particolare degli autori Eschilo, Sofocle, Aristofane, Tucidide e Tacito. Nel 1812 compose una raccolta di sonetti, dedicata ad un suo amore rusticano ("Amaryllis, ein Sommer auf dem Lande") che pubblicò solo nel 1825. Traendo ispirazione dalle guerre antinapoleoniche, scrisse una serie di infuocati canti guerreschi, varie commedie di carattere aristofanesco e alcune poesie con lo pseudonimo di Freimund Reiner. Successivamente intraprese collaborazioni con alcune riviste, studiò il persiano, le forme strofiche italiane, effettuò traduzioni. Dal 1827, ottenuta la cattedra di lingue orientali all’Università di Erangen, iniziò un periodo di intensa attività, tra le riviste, i saggi, le traduzioni dall’arabo antico e dal latino, le opere teatrali; Rückert si interessò anche alla poesia medievale con un rifacimento del "Tristano e Isotta" (1839) e la traduzione di alcuni "Minnesänger" (1836).Morì a Neuses, presso Coburgo, nel 1866.

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Il "du" a cui Rückert si rivolge è proprio la poesia, mezzo privilegiato attraverso cui il poeta accede all’infinito. Essa è pace, quiete, desiderio e suo appagamento. Il concetto di "Sehnsucht" (letteralmente "male del desiderio"), è un motivo ricorrente presso i romantici, poiché denota un sentimento di tensione verso l’infinito. Rückert invita la poesia, che è per lui l’unica fonte di gioia, a vivere dentro di lui e, proiettandolo in una dimensione trascendente, a scacciare le preoccupazioni della vita terrena. L’appartenenza dell’autore, per quanto riguarda questa fase della sua produzione letteraria, alla scuola del tardo romanticismo tedesco, è testimoniata dall’estrema musicalità di questa poesia, ottenuta attraverso la regolarità del verso, le rime, le assonanze e la prevalenza della vocale "u", che esprime serenità.

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Il Lied "Du bist die Ruh", composto da Schubert nel 1823, presenta una struttura strofica (anche se più elaborata rispetto a "An die Musik"), con un’introduzione pianistica iniziale e brevi interludi pianistici dopo ogni coppia di strofe. In questo Lied il pianoforte accompagna con sublime semplicità la melodia cantata, creando un clima di serenità e ottimismo.

Le prime due coppie di strofe ripetono lo stesso materiale musicale (struttura AB-AB), mentre all’ultima Schubert riserva uno spazio più ampio, ripetendola due volte, con un crescendo e un movimento ascendente fino alla parola "illuminato" ed un successivo ritorno alla quiete in corrispondenza del quarto verso. Il materiale musicale usato per l’ultima strofa è una elaborazione di quello delle prime due, con un moto ascendente modulante, che crea un senso di espansione e di sfogo, e un successivo ritorno alla tonalità e all’atmosfera iniziale.

Testo: J. W. Goethe

Musica: Franz Schubert

Gretchen am Spinnrade

Meine Ruh ist hin,
Mein Herz ist schwer;
Ich finde sie nimmer
Und nimmermehr.
Wo ich ihn nicht hab’
Ist mir das Grab,
Die ganze Welt
Ist mir vergällt.
Mein armer Kopf
Ist mir verrückt,
Mein armer Sinn
Ist mir zerstückt.
     
Nach ihm nur schau’ ich
Zum Fenster hinaus,
Nach ihm nur geh’ ich
Aus dem Haus.
Sein hoher Gang,
Sein’ edle Gestalt,
Seines Mundes Lächeln,
Seiner Augen Gewalt,
Und seiner Rede
Zauberfluß,
Sein Händedruck,
Und ach, sein Kuß!
     
Mein Busen drängt
Sich nach ihm hin.
Ach dürft ich fassen

Und halten ihn,

 

Und küssen ihn
so wie ich wollt’,

An seinen Küssen

Vergehen sollt’!

 




 

Johann Wolfgang von Goethe

nacque nel 1749 a Francoforte da una famiglia benestante

(il padre era un ricco e colto giurista e la madre la figlia del sindaco). 
Studiò le lingue classiche e moderne, le materie scientifiche e il disegno 
(attività che esercitò per tutta la vita). Nel 1765  iniziò inoltre lo studio 
del diritto a Lipsia (dove cominciò anche a scrivere le sue prime poesie), fino 
al 1768, quando, a causa di una grave malattia e di una conseguente crisi 
religiosa, (che lo avvicinarono al pietismo e all’esoterismo), fu costretto a 
tornare a Francoforte; nel 1770, a Strasburgo fu introdotto dall’amico Herder 
alle opere di Shakespeare, Ossian e Omero, alla cultura gotica e all’arte 
popolare. La sua adesione allo Sturm und Drang  è testimoniata dai "Canti 
di Sesenheim".In seguito alla stesura de "I dolori del giovane Werther" 
(1774), che gli conferirono la notorietà, Goethe fu chiamato a Weimar come 
precettore del duca Carlo Augusto. Egli continuò a lavorare al "Faust", iniziato
a Francoforte e pubblicato in due parti, nel 1808 e nel 1932, anno della sua
morte. Nel 1786 compì un viaggio in Italia che gli ispirò varie opere. 
Fra le sue opere più celebri  bisogna menzionare "Le affinità elettive" (1809)
 e "Guglielmo Meister"(1796 e 1829.

 

 
 
 

 

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La canzone, pubblicata nel 1808, si trova nella parte I del "Faust", tragedia a cui Goethe lavorò durante tutta la sua vita. Il tema di questa poesia è l’amore, che Goethe tratta come una passione che sfugge al controllo della ragione, minando l’integrità mentale stessa dell’innamorato. In particolare questo componimento tratta dell’amore di Margherita per Faust.

Nella prima parte della poesia Margherita esprime il suo stato di angoscia per l’abbandono di Faust: il suo animo è inquieto e non riesce a trovare sollievo alle pene d’amore, la sua mente sta delirando, ella non ha più ragione di vivere. La quarta strofa, ("Nach ihm nur schau’ ich…"), funge da cerniera tra la prima e la seconda parte della canzone, che è invece incentrata sulla figura di Faust. La quinta e la sesta strofa sono percorse da un climax ascendente, realizzato sia attraverso gli elementi fisici rievocati (portamento-figura-bocca-occhi-discorso-mano), che attraverso il crescente coinvolgimento emotivo di Margherita, quasi ammaliata da Faust (il potere - il magico fluire - la stretta), fino a culminare in un bacio appassionato e indimenticabile. Le ultime strofe, attraverso un altro climax verbale (anelare-prendere-tenere-baciare-morire dei baci), esprimono il desiderio ardente di Margherita di possedere fisicamente Faust.

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"Gretchen am Spinnrade", composto nel 1814, è il primo Lied di Schubert su testo di Goethe ed è da molti considerato il primo vero Lied tedesco, tale è la sua potenza espressiva.

L’accompagnamento pianistico è basato su un movimento ostinato al pianoforte che suggerisce il dolce, monotono ronzio dell’arcolaio, ma anche l’agitazione interiore di Gretchen, ed è interrotto solo per un momento, al ricordo del bacio di Faust ("Und ach, sein kuss!"). Su tale movimento si snoda una linea melodica in continua trasformazione, in modo tale da aderire perfettamente al testo. Soltanto la prima strofa viene ripetuta, come un ritornello ossessivo, creando una divisione del Lied in tre sezioni, percorse da tre climax progressivamente più consistenti, fino all’esplosione di follia nell’ottava strofa.

A livello formale, quindi, in questo Lied si può parlare di una sovrapposizione tra uno schema a rondò ABACADA (sulla base della ripetizione della prima strofa), e una forma strofica variata (date le affinità tra le varie sezioni) o addirittura aperta.

Il momento in cui ha inizio il ricordo dell’amato, (IV strofa), è sottolineato da Schubert tramite il passaggio temporaneo dal modo minore al modo maggiore, in un clima nostalgico-estatico, che subito riprende vigore con un crescendo progressivo fino al bacio.

Il Lied si conclude con due versi della prima strofa, creando l’effetto di un inevitabile ritorno all’angoscia interiore che stavolta, però, attraverso un graduale rallentamento e diminuendo, giunge fino alla morte psicologica, sottolineata dal fermarsi dell’arcolaio.

 

Claude Debussy

(Saint-Germain-en-Laye 1862 - Parigi 1918)

Compositore francese, allievo di Marmontel, Lavaignac e Guiraud, nel 1884 vinse il Prix de Rome con la scena lirica "L'Enfant prodigue", ancora fortemente influenzata da Lalo e Massenet. Dopo il soggiorno romano, durante il quale compose "Printemps" e "La demoiselle élue", nel 1887 tornò a Parigi, dove cominciò a frequentare il salotto di Mallarmé ed altri ambienti artistici e letterari legati al simbolismo ed all’impressionismo che, nella formazione del linguaggio e della sensibilità di Debussy, ebbero un’influenza determinante e senz’altro superiore a quella dei musicisti con cui fu a contatto. Nel frattempo si interessò alla musica di Wagner (viaggi a Bayreuth del 1888 e del 1889), al "Boris" di Musorgskij e alle musiche giavanesi, ascoltate all’Esposizione di Parigi del 1889.

In quegli anni compose alcuni lavori cameristici che mostrano già il suo stile: "Ariettes oubliées" per voce e pianoforte (1888), "Cinq poèmes de Baudelaire" (1890), "Fetes galantes", (su poesie di Verlaine, 1892), "Quartetto" per archi (1893). Nel 1894, riscosse il primo grande successo col poema sinfonico "Prélude à l'après-midi d'un faune". L'unica esperienza di teatro musicale è legata a uno dei testi che parvero allora quasi un manifesto della poetica teatrale simbolista: "Pelléas et Mélisande" di Maeterlinck (1893). L'opera fu rappresentata nel 1902, scandalizzando per il suo rifiuto delle convenzioni del melodramma tradizionale e di quelle del dramma wagneriano. La produzione di Debussy comprende molte opere pianistiche, varie composizioni orchestrali, alcune sonate da camera, e altro. Tra le raccolte per canto e pianoforte, ricordiamo "Fêtes galantes" I e II (1892, 1904) su testi di Verlaine, "Proses lyriques" (1892-93) su testo proprio, "Trois chansons de Bilitis" (1897) su testi di P. Louys, "Trois ballades" de F. Villon (1910), "Trois poèmes de Mallarmé" (1913).

A livello armonico, la musica di Debussy appare molto innovativa: libera dai vincoli dell’armonia tonale, da una parte risente del cromatismo wagneriano, dall’altra se ne allontana, impiegando scale arcaiche di derivazione medievale e scale difettive a cinque o sei suoni di derivazione orientale. Per quanto riguarda il trattamento della voce, Debussy sceglie uno stile di declamazione molto fedele al profilo melodico e all’accentuazione delle parole, che si avvicina a una sorta di prosa colloquiale dal tono confidenziale ed intimo.

Testo: Paul Bourget

Musica: Claude Debussy

Beau Soir

Lorsque au soleil couchant les rivières sont roses,

Et qu’un tiède frisson court sur les champs de blé,

Un conseil d’être heureux semble sortir des choses

Et monter vers le cœur troublé.

Un conseil de goûter le charme d’être au monde

Cependant qu’on est jeune et que le soir est beau,

Car nous nous en allons, comme s’en va cette onde,

Elle à la mer, nous au tombeau.

 

Soave sera

Quando al tramonto i fiumi si tingono di rosa,

E un tiepido fremito corre sui campi di grano,

Un’esortazione ad essere felice sembra uscire dalle cose

E giungere al cuore afflitto.

Un’esortazione a gustare la bellezza di essere al mondo

Finché si è giovani e la sera è soave,

Poiché noi ce ne andiamo, come se ne va quest’onda,

Ella verso il mare, noi verso la tomba.

 

 

Paul Bourget nacque nel 1852 ad Amiens, nella Francia settentrionale, e durante la sua vita si mise in evidenza in qualità di poeta, critico e romanziere.

La sua produzione poetica ("Au bord de la mer", "La vie inquiète" e "Les aveux"), perlopiù risalente alla giovinezza, non rivela un’attitudine veramente originale; evidente nei suoi versi è l’influsso del romanticismo malinconico di Lamartine.

In un secondo momento, scoraggiato dall’insuccesso dei suoi versi, Bourget si dedicò alla saggistica ed alla critica, pubblicando saggi sulla psicologia (risultati molto utili per comprendere lo Zeitgeist degli anni Ottanta) e tracciando i profili di letterati del tempo quali Stendhal, Balzac e Baudelaire.

Votatosi infine al romanzo psicologico (tra cui "Cruelle énigme", 1885 e "Le disciple", 1889), egli, fino ad allora fervente discepolo di Taine, si converte alla religione, prendendo posizione, nell’ambito del "caso Dreyfus" dalla parte dei conservatori. Morì nel 1935.



In questo breve componimento Bourget, traendo spunto dall’immersione estatica nella natura, affronta i temi di derivazione classica della fugacità del tempo e della morte, concludendo la sua pacata riflessione con un invito rivolto al lettore a cogliere l’attimo che fugge, a godere senza remore della gioia della vita.

In un’atmosfera non a caso crepuscolare, ed in ossequio al rapporto privilegiato uomo-natura instaurato dai romantici, una voce della natura sembra giungere a rassicurare il cuore umano, afflitto dalle molteplici preoccupazioni tipiche dell’uomo moderno. "Sii felice, godi della bellezza e del fascino della vita, finché sei giovane e la sera è bella", questo "consiglio" sembra sussurrare; perché mentre le acque dei fiumi, metafora della vita umana, scorrendo sfociano nel mare, il destino dell’uomo è ben più tragico e definitivo: la morte.

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Il brano si apre in un’atmosfera di contemplazione, con una breve introduzione pianistica fatta di dolci arpeggi, rappresentanti il piacevole abbandono del poeta all’ascolto della natura, da cui emergono delle note gravi, che lasciano trasparire un malessere psicologico, e degli accordi sospesi, interpretabili come sensazioni, voci che escono dalla natura. I cambiamenti armonici e dinamici sembrano descrivere le fluttuazioni emotive nell’animo del poeta, dal piacere provato nel contatto con la natura, all’entusiasmo suscitato dal consiglio di cogliere l’attimo, fino alla malinconia ed alla tristezza. Tali fluttuazioni, tuttavia, sono limitate da una condizione di infelicità esistenziale, che blocca ogni residuo tentativo di reazione del poeta. Ne è una prova il fatto che in questo brano compare un solo "forte", (in corrispondenza del VI verso), subito stroncato da un "diminuendo"; per il resto, la sonorità va dal "piano" al "più pianissimo".

Il momento di maggior tensione è dal terzo al sesto verso, quando il consiglio della natura sembra poter rincuorare il poeta: nella parte del pianoforte viene introdotto un controcanto, che sembra rappresentare la voce che esce dalla natura, e l’accompagnamento si sposta verso l’acuto, interrompendo il sottofondo di note gravi iniziale, (solo in corrispondenza delle parole "cuore afflitto" si ritorna verso il grave). Poi un ulteriore slancio, fino all’unico "forte" ed all’unico "animato" del brano, (VI verso).

Sulle parole "Poiché noi ce ne andiamo" (VII verso) l’entusiasmo viene frenato, con un moto discendente delle parti e un diminuendo progressivo. Per le parole "Ella verso il mare", di fronte alla presa di coscienza del triste destino dell’uomo, viene interrotto il sottofondo arpeggiato che finora era stato sempre presente e viene rallentato il tempo. Infine, per le parole "Noi verso la tomba", viene ripreso il materiale sonoro dell’inizio, anche se con una nuova, amara consapevolezza; il pianoforte raggiunge la nota più grave di tutto il brano e Debussy inserisce l’indicazione "morendo".

Testo: Paul Verlaine 

Musica: Claude Debussy

 

Il pleure dans mon cœur   Piange nel mio cuore

Il pleut doucement sur la ville.

Il pleure dans mon cœur

Comme il pleut sur la ville,

Quelle est cette langueur

Qui pénètre mon cœur?

 

O bruit doux de la pluie

Par terre et sur les toits!

Pour un cœur qui s’ennuie

O le chant de la pluie!

Il pleure sans raison

Dans ce cœur qui s’écœure.

Quoi! nulle trahison?

 

Ce deuil est sans raison.

C’est bien la pire peine

De ne savoir pourquoi

Sans amour et sans haine

Mon cœur a tant de peine.

 

   

 



Paul Verlaine nacque nel 1844 in Lorena e trascorse la sua giovinezza a Parigi, dove unì lo studio dei classici all’interesse verso gli autori contemporanei (Baudelaire, Gautier, Banville), stando a contatto con gli ambienti parnassiani, di cui i suoi "Poemi saturnini" (1866) sono testimonianza. Dopo una breve parentesi matrimoniale intraprese la relazione con il giovane Rimbaud, col quale viaggiò in Inghilterra e Belgio. Finito in prigione per aver sparato due colpi di rivoltella all’amico, iniziò un percorso di conversione spirituale e morale che ispirò l’opera "Saggezza" (1881).

Sono tra le sue opere principali "Romanze senza parole" (1874), "Ariette dimenticate" (1874), "Allora e ora" (1884), "I poeti maledetti" (1884). Nel 1894 fu proclamato "principe dei poeti", mentre toccava l’ultimo stadio della miseria morale della sua vita, contraddistinta dal vizio del bere.

Morì a Parigi nel 1896, in solitudine.

La poesia, la cui dedica testimonia la relazione di Verlaine con Rimbaud, è stata scritta nel 1874 e fa parte della raccolta Ariettes Oubliées.

In questa poesia Verlaine esprime il suo stato di malinconia esistenziale, aggravato dall’incapacità di trovarne una spiegazione razionale. Il primo verso e l’ultimo di ogni strofa terminano con la stessa parola, cosicché "cœur" (che addirittura compare in tutte le strofe), "pluie", "raison" e "peine" divengono le parole-chiave della poesia. L’idea della malinconia, non aliena da un certo compiacimento, è rappresentata attraverso il parallelismo grammaticale e sonoro dei verbi "pleurer" (piangere) e "pleuvoir" (piovere), usati entrambi in modo impersonale per sottolineare lo smarrimento del poeta di fronte alla sua situazione: il dolce suono, il canto della pioggia sulla città sono accostati alle lacrime nel cuore del poeta, stabilendo così una corrispondenza di matrice romantica tra interiorità e mondo esterno.

Sul piano del significante, l’uso ripetuto di sonorità vocaliche ("œ", "eu") e consonantiche e le rime interne ("pleure/cœur", "bruit/pluie", "cœur/s’écœure") suggeriscono l’idea di nausea, languore. Riguardo all’uso della punteggiatura, il punto interrogativo enfatizza la ricerca di una spiegazione, quello esclamativo il dramma. Per la compresenza di questi artifici il ritmo risulta piuttosto animato.

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Il brano, composto da Debussy nel 1887, si apre con un effetto sonoro teso a rappresentare la pioggia, che rimarrà in sottofondo fino alla fine, come simbolo del costante stato psicologico del poeta. Si tratta di una pioggia fitta e leggera, inesorabile ma anche dolce, piacevole. Dall’effetto della pioggia emerge sommessamente al pianoforte il motivo ricorrente del brano con un seguito di semitoni discendenti e subito dopo attacca in modo altrettanto discreto la voce, con fluttuazioni ritmiche e dinamiche. Si va così delineando un’atmosfera indefinita, introversa, pervasa di tristezza, inquietudine, dolcezza, noia, che è accentuata anche dalla scelta di Debussy del modo minore, (sol# minore), e dall’indicazione del movimento, ("Moderatamente animato - triste e monotono-"). In questo brano, inoltre, non c’è un vero tema musicale, ma piuttosto degli spunti, degli effetti armonici, melodici e ritmici che si presentano brevemente, si trasformano, poi si ripresentano. Un primo cambiamento di armonia ed un’espansione melodica avvengono nella prima strofa, quando il poeta cerca di analizzare il suo stato, ("Cos’è questo languore che mi penetra il cuore?"); nella II strofa c’è un ritorno alla piacevole monotonia della pioggia; poi di nuovo un momento di inquietudine e instabilità, con le illogiche progressioni armoniche della terza strofa, ("Piove senza ragione"); dopodiché, nel momento in cui il poeta si rende veramente cosciente dell’inspiegabilità del suo dolore, la pioggia si ferma, per poi riprendere, tristemente, nella IV strofa. Essa va svanendo progressivamente verso la fine del brano, quasi come se la natura potesse rispondere solo facendola cessare.

 

Ildebrando Pizzetti

(Parma 1880 - Roma 1968)

Studiò al Conservatorio di musica di Parma, diplomandosi in composizione nel 1901. Debuttò nel 1908, quando fu prescelto per comporre le musiche di scena per La nave di Gabriele D'Annunzio; fu subito preso in simpatia dal poeta, che successivamente adattò per lui il testo della sua tragedia Fedra, rappresentata alla Scala nel 1915. Insegnante presso il Conservatorio di Firenze dal 1908, lo diresse dal 1917 al 1924, anno in cui ottenne il trasferimento a Milano. Nel vivace ambiente fiorentino frequentò "La Voce" e fu considerato un caposcuola per la musica, portando a Firenze anche i più brillanti giovani di Parma. Tra il 1936 e il 1958 fu nominato insegnante di composizione ai corsi di perfezionamento dell'Accademia di S. Cecilia in Roma, e contemporaneamente svolse attività di critico musicale.

Fin dalle prime opere appaiono definiti i caratteri essenziali del suo linguaggio, improntato allo spoglio e severo diatonismo del gregoriano, (che Pizzetti aveva ben appreso alla scuola del Tebaldini), in polemica sia col gusto verista che con gli aspetti più vivi e avanzati del Novecento europeo, e attento essenzialmente al rilievo espressivo e drammatico di un declamato che si rifaceva al seicentesco "recitar cantando".

La produzione di Pizzetti comprende molte opere, (tutte su libretto proprio, tranne quattro), lavori di musica corale, sacra, per film, da camera e sinfonica; inoltre, varie liriche per canto e piano, che alcuni considerano la parte più felice della sua opera.

 

Testo: Gabriele D’Annunzio

Musica: Ildebrando Pizzetti

 

I pastori

Settembre, andiamo. É tempo di migrare.
Ora in terra d'Abruzzi i miei pastori
Lascian gli stazzi e vanno verso il mare:
Scendono all'Adriatico selvaggio
Che verde è come i pascoli dei monti.

Han bevuto profondamente ai fonti
Alpestri, che sapor d'acqua natìa
Rimanga nei cuori esuli a conforto,
Che lungo illuda la lor sete in via.
Rinnovato hanno verga d'avellano.

E vanno pel tratturo antico al piano,
Quasi per un erbal fiume silente,
Su le vestigia degli antichi padri. 
O voce di colui che primamente
Conosce il tremolar della marina!

Ora lungh'esso il litoral cammina
La greggia. Senza mutamento è l'aria.
Il sole imbionda sì la viva lana
Che quasi dalla sabbia non divaria.
Isciacquìo, calpestìo, dolci romori.

Ah perchè non son io co' miei pastori? 

Gabriele D’Annunzio e la musica

Gabriele D’Annunzio (1863-1938), nell’ambito dei suoi molteplici campi d’azione, ha dimostrato sempre per la musica un particolare interesse, derivante dalla sua stessa concezione della poesia, in cui la "musicalità" della parola era componente essenziale della sua sensibilità e del suo stile. Fin dalla giovinezza si è occupato della musica in modo specifico, contribuendo alla diffusione delle opere wagneriane in Italia e incoraggiando la resurrezione della tradizione musicale italiana vocale e strumentale classica e pre-classica in opposizione al verismo imperante sulle scene. In accordo con la versatilità dei suoi interessi fu cultore appassionato di Wagner, che ispirò anche la sua produzione letteraria ( "Il fuoco", "Il trionfo della morte") ma anche "paroliere" per la facile vena melodica di Tosti, compositore di arie da camera allora di gran moda, suo amico e conterraneo.

Estimatore di R. Strauss e Debussy, ha composto in collaborazione con lui "Le Martyre de Saint Sébastien". Sul fronte del melodramma italiano gli autori della "giovane scuola", tra cui Mascagni e Zandonai, ricorsero a lui per i libretti di "Parisina" (1913) e "Francesca da Rimini" (1914), mentre fallì la collaborazione, a lungo caldeggiata da Ricordi, con Giacomo Puccini, l’astro del momento.

L’opera poetica e drammatica di D’Annunzio è stata musicata in gran parte anche dai giovani musicisti della "generazione dell’Ottanta", tra cui Pizzetti, Malipiero, Casella, accumunati dalla ricerca espressiva volta ad un recupero innovatore della tradizione italiana del "recitar cantando" di Monteverdi. In questa precisa direzione D’Annunzio patrocinò l’edizione della "Raccolta Nazionale delle Musiche Italiane" e dei 36 volumi dei "Classici della musica italiana" .

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La poesia "I pastori" fa parte della sezione V dell’Alcyone, raccolta poetica che, secondo il progetto dannunziano, all’interno del ciclo delle "Laudi" rappresenta una "tregua" estiva del superuomo dalle sue eccezionali avventure, alla ricerca di una fusione con la natura versiliese da attuarsi attraverso la rievocazione del mito classico. Tuttavia in questa fase della raccolta appaiono i primi presagi autunnali, testimoni del tramonto del tentativo di riesumare il mito panico della comunione dell’uomo con la natura in epoca moderna.

Il senso di frustrazione derivato dal fallimento del progetto è compensato dalla fuga nostalgica nella terra natale dell’autore, l’Abruzzo, dove secondo tradizioni ataviche i pastori a settembre effettuano la transumanza, cioè lo spostamento delle greggi dai monti al mare, in cerca di climi e pascoli migliori. Il poeta, esule dalla sua terra, li segue malinconicamente e sente forte il desiderio di essere insieme a loro, sognando quella serenità che sa però sempre negata.

La prima parte della poesia concerne la preparazione dei pastori (che bevono intensamente per conservare il più a lungo possibile il sapore dell’acqua della loro terra natia e per affrontare il duro viaggio, e preparano il bastone di nocciòlo con cui guideranno le greggi), e il viaggio vero e proprio, attraverso gli antichi sentieri già solcati dai primi pastori; la seconda parte (comprendente l’ultima strofa) riguarda l’arrivo dei pastori sul mare, da dove poi si sposteranno, costeggiandolo, verso le pianure pugliesi: l’aria è ferma e assolata, si sente soltanto il suono dell’acqua sulla battigia e il calpestio delle pecore, "dolci romori" all’orecchio del poeta.

L’ultimo verso ("Ah, perché non son io co’ miei pastori?") sottolinea la malinconia del poeta, che, lontano dalla propria terra, ne avverte nostalgia e si rammarica di non essere con i "suoi" pastori a condividere la pace e la serenità che ella offre.

Da un punto di vista formale, la prima parte si caratterizza per un andamento ampio e lento, mentre la seconda è scandita da periodi brevi; essi corrispondono a due atteggiamenti psicologici diversi, di familiarità l’uno, di estraneità l’altro.

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Il brano "I Pastori", composto nel 1908, mostra in modo evidente il linguaggio musicale scelto da Pizzetti in un’epoca caratterizzata dallo scontro tra tendenze conservatrici e innovatrici. Estraneo tanto al cromatismo postwagneriano, quanto a ogni forma di dissoluzione tonale, Pizzetti predilige un genere di vocalità drammatica, di declamato capace di potenziare i dati della parola, da un lato sulle orme del "Pelléas et Melisande" di Debussy, dall'altro su influsso delle correnti arcaiste, con il recupero del recitar cantando fiorentino, della polifonia antica e del gregoriano.

La struttura del brano presenta quella bipartizione già citata nell’analisi del testo poetico, tra la fase preparatoria alla partenza e l’arrivo all’Adriatico. Il primo verso viene isolato in un’introduzione, che dà subito il senso della tradizione atavica, dopodichè ha inizio la fase di preparazione del viaggio. La seconda strofa è più tesa rispetto alla prima, per rappresentare la forza d’animo necessaria ai pastori, che al momento della partenza sono consapevoli di dover affrontare un lungo viaggio, ma soprattutto di dover stare per molto tempo lontani dalle proprie terre. Le parole "cuori esuli a conforto" e "illuda", intrise di nostalgia, vengono sottolineate da un rallentamento. La terza strofa, all’inizio, riprende l’andamento della prima, poi, col terzo verso, acquista un tono di sacralità e rispetto al ricordo degli avi. Segue un grido di esultanza al momento dell’arrivo. La seconda parte è in un clima di assoluta serenità e il verso finale, isolato e sospeso, accentua la nostalgia e il rimpianto del poeta di non essere nella sua terra.

 

Richard Strauss

(Monaco 1864 – Garmisch 1949)

Compositore tedesco, intraprese giovanissimo una grande carriera direttoriale affiancando gli incarichi stabili nei teatri a fortunate tournées, oltre che ad un'intensa attività di compositore, che fin dalla fine del secolo lo aveva imposto tra le figure di primo piano della musica europea. Dal 1924 lasciò ogni impegno stabile, proseguendo in piena autonomia viaggi e tournées; nel 1933 aderì al nazionalsocialismo e divenne presidente della Reichsmusikkammer, ma fu costretto a dimettersi in seguito alle polemiche scoppiate per la sua amicizia e collaborazione con lo scrittore ebreo S. Zweig. Poi visse più appartato (soprattutto dalla fine della guerra) a Garmisch e in Svizzera.

La sua produzione come compositore presenta continui mutamenti di stile: gli influssi brahmsiani presenti nei primissimi lavori presto lasciarono spazio a un linguaggio postwagneriano, portato all’estremo nella ricchezza timbrica e nella destabilizzazione formale, nonché nell’arditezza di certe dissonanze, fino ad esperienze espressionistiche e politonali.

Fin dai primi lavori appare evidente la prorompente personalità del giovane Strauss, ed anche la forza creativa e l’abilità compositiva che la supportavano. Dopo le prime grandi affermazioni con i poemi sinfonici scritti tra il 1886 e il 1898, l'interesse preminente di Strauss si rivolse al teatro musicale: "Salomè" (Dresda, 1905), "Elektra" (Dresda, 1909), "Il cavaliere della rosa" (Dresda, 1911) furono i primi capolavori. Nelle 10 opere teatrali che seguirono il linguaggio di Strauss si volse verso una distensione, accompagnata in molti casi da un'attenuazione della forza inventiva, con esiti comunque discontinui mentre sempre più profondo diveniva il solco che separava Strauss dalla musica del Novecento. In alcuni lavori tardi si avverte una dimensione di desolata solitudine, di rassegnata rinuncia che appaiono frutto di una dolorosa meditazione sul crollo della Germania di cui Strauss era stato il trionfante cantore (ad esempio nei 4 ultimi Lieder e nelle "Metamorphosen"). Si è soliti contrapporre Mahler, che si considerava "inattuale" per definizione, alla grande "attualità" di Strauss: nel primo si ravvisa una tragica e lacerante consapevolezza critica, nel secondo, un'ottimistica adesione al suo tempo.

Strauss scrisse molti Lieder, durante tutta la sua vita, su testi di Uhland, Rückert, Shakespeare, Goethe, Hesse, Eichendorff. Egli era solito scegliere le poesie sulla base dello sviluppo musicale che offrivano, per cui spesso mise in musica anche liriche di importanza minore.

 

Testo: John Henry Mackay

Musica: Richard Strauss


Morgen!

Und morgen wird die Sonne wieder scheinen,

und auf dem Wege, den ich gehen werde,

wird uns, die Glücklichen, sie wieder einen

inmitten dieser sonnenatmenden Erde...

Und zu dem Strand, dem weiten, wogenblauen,

werden wir still und langsam niedersteigen,

stumm werden wir uns in die Augen schauen,

und auf uns sinkt des Glückes stummes Schweigen.

 

John Henry Mackay, scrittore tedesco, nacque nel 1864 a Greenock (Scozia). Dopo aver viaggiato in Europa e negli Stati Uniti, si stabilisce a Berlino, divenendo uno dei principali teorici dell’individualismo anarchico tedesco, soprattutto a seguito di un viaggio in Inghilterra. Narratore di matrice naturalistica e d'ideologia anarco-socialista, fu vicino a M. Stirner, di cui scrisse una biografia. I suoi più celebri romanzi sono "Gli Anarchici" (1891) e "Il libertario", in cui manifesta la sua avversione verso lo stato, concepito come "violenza organizzata". Morì a Berlino nel 1933.

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La poesia "Morgen" va ricondotta nell’alveo dell’estetismo decadente di fine secolo.
 L’anarchico Mackay, infatti, vi esprime l’aspettativa di una rigenerazione della società; 
al culmine di un itinerario personale, i "felici", i fortunati (presumibilmente gli artisti, 
si riuniranno nell’ "ampia spiaggia", nel giorno in cui il sole pervaderà tutto 
portando luminosità e vita. Questo percorso si connota in senso mistico-religioso,
 soprattutto attraverso l’incedere lento e silenzioso dell’uomo "eletto", 
che nel momento in cui raggiunge la meta rimane in un uno stato di estasi. 
La natura è rappresentata in modo immateriale, come un connubio di luce, colore 
(il blu delle onde è, fin dal Romanticismo, il colore dell’infinito) e silenzio mistico.   

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Questo Lied, scritto da Richard Strauss nel 1894, si apre con una lunga introduzione pianistica, che espone una splendida melodia, successivamente ripetuta integralmente come cornice armonica e melodica per il canto. Il risultato è che il testo poetico sembra declamato su un meraviglioso sfondo musicale, che da solo riesce a tradurre in musica il significato della poesia.

In corrispondenza degli ultimi due versi, la parte pianistica si ferma su degli accordi lunghissimi, mentre la voce "recita" il testo sulla stessa nota, alternando il canto a lunghe pause e creando un’atmosfera di pace, silenzio, estasi; come conclusione, il pianoforte riprende l’attacco del tema iniziale che, ora, pare elevarsi fino all’assoluto.

A livello testuale, occorre notare il particolare rilievo affidato alle parole "die Glücklichen" ("i felici" o "i fortunati"), "Glück" (gioia) e "Schweigen" (silenzio), e l’effetto realistico di "wogenblauen" (onde blu).