Terroni d’Italia
di Fulvio Cauteruccio e Giuseppe Mazza
collaborazione drammaturgica Giacomo Fanfani
con Fulvio Cauteruccio, Laura Bandelloni, Massimo Bevilacqua
Umberto D’Arcangelo e Irene Barbugli
costumi Massimo Bevilacqua
luci e scene Loris Giancola
tecnico di scena Claudio Signorini
regia Fulvio Cauteruccio
una produzione Compagnia Krypton in collaborazione con Festival delle Colline Torinesi
Ente Cassa di Risparmio di Firenze

Terroni d’Italia, recitato in parte in italiano oltre che in calabrese, veneto, siciliano, lombardo, napoletano e
piemontese, giunge all’allestimento conclusivo al Teatro Studio dopo varie tappe e studi iniziati nel 2009.
Lo spettacolo ha come tema portante l’emigrazione dal sud rappresentata come una delle più amare
conseguenze dell’unificazione nazionale e delle scelte di politica estera del Conte di Cavour, le cui mosse
diplomatiche Dostoevskij, nel diario del suo viaggio in Italia del 1870, criticò aspramente, rintracciando in
esse la causa della “creazione di un regno di secondo ordine”.
Da Quarto fino alla caduta della piazzaforte di Gaeta, lo spettacolo ripercorre alcuni dei principali
accadimenti che hanno portato all’Unità d’Italia, utilizzando immagini video di repertorio e brani tratti dagli
ultimi studi condotti sui carteggi del Conte di Cavour. Studi che suggeriscono di quegli eventi una nuova
lettura e restituiscono dignità a una popolazione e ad una terra economicamente forte – nel 1856 all’expo
di Parigi il Regno borbonico fu premiato come terzo stato più avanzato d’Europa - che venne insanguinata
e saccheggiata in nome dell’unità. Il fenomeno del brigantaggio reputato fino ad ora negativamente,
assume nello spettacolo la connotazione di una vera e propria lotta partigiana durata otto anni.
Terroni d’Italia è un lavoro che, pur non mettendo in discussione il valore inestimabile dell’unità nazionale,
diventa un inno e un omaggio a quelle popolazioni che hanno grandemente contribuito alla creazione dello
Stato ma che a tutt’oggi sono considerate sovente di serie B.
Basato su La storia di Pippu, attore d’arte drammatica, scritto a quattro mani da Fulvio Cauteruccio e
Giuseppe Mazza, Terroni d’Italia descrive le peripezie di Pippo, dal dopoguerra ai difficili anni ’70,
attraverso il racconto di storie vere e del sogno di un uomo costretto ad emigrare a nord dalla natia Sicilia,
con il desiderio di fare l’attore, senza tuttavia riuscirci.
Attraverso Pippo entriamo, da moderni protagonisti, nel pieno dell’UNITA’ D’ITALIA e dei suoi fautori, da
Cavour a Vittorio Emanuele II (nonostante fosse il I), da Garibaldi a Francesco II di Borbone e Maria Sofia,
affiancati da sgangherati eroi risorgimentali che combattono la loro guerra a colpi di ricette tradizionali in
modo che nessuno si faccia male. Uno spettacolo che diverte e insieme fa riflettere sugli eventi che 150
anni fa dettero origine all’Italia dei Savoia e su tutto ciò che ne è conseguito. Oggi il Principe Emanuele
Filiberto di Savoia canta sul palcoscenico di Sanremo e Pippo canta ancora su un treno di emigranti.

DALLA RASSEGNA STAMPA
19 Aprile 2011
Di Tommaso Chimenti
"Chi odia i terroni, chi canta Prévert, chi copia Baglioni” (Rino Gaetano, “Il cielo è sempre più blu”).
"Ti amo terrone, ti amo terrone, ti amo, con la catena d’ oro, la pasta al pomodoro, tondo basso e
moro, di sicuro un uomo vero. Cordiale e pasticcione, buono e chiacchierone, tenero e padrone,
furbo e intrallazzone. Non gli togli la pancetta, la vendetta, la cenetta, la Pasquetta,
l#8217;Italietta, la mamma, la pizza, l’insalata, la canottiera bucata” (Skiantos, “Italiano Terrone
che amo”). C'è sempre un Sud a sud di ogni Sud. Sgorga umanità a piene mani il nuovo lavoro di
Fulvio Cauteruccio. In Terroni d’Italia è un Roccu u stortu dei giorni nostri, cresciuto, che ha avuto
modo di studiare, di capire, di leggere l’oggi con le informazioni di ieri. L’immagine dell’immigrato
porta con sé ancora quella patina di nostalgia mista a ingenuità che fa simpatia, che fa bianco e
nero, che ci rende solidali con chi rimane, di fatto, in una posizione svantaggiata, più debole, in
disparte. Si parla di Unità d’Italia ma anche di Sud, di immigrazione, di italiani, qui veramente
“brava gente”, di persone che ce l’hanno fatta, con caparbietà e onestà, costanza e
testardaggine come Giuseppe Mazza, autore del plot autobiografico sulle tracce del quale la
penna teatrale di Cauteruccio ha assestato colpi d’ascia e carezze, mozziconi ed esaltazioni. Ne
esce fuori un percorso dove la storia piccola, personale di un ragazzo d’origini modeste, trasferitosi
come postino al Nord, incrocia la Storia grande, una fessura dentro la Grande Muraglia. Passano
Nino D’Angelo e Maria Nazionale, meridionali che cantano l’unità dello Stivale, contrapposti a
Pupo ed al (ram)pollo di casa Savoia (buttati fuori dalla porta principale e rientrati dalla finestra dei
talk show e dei reality). Il “nostro” Pippo si racconta, sorridendo delle proprie miserie, guardando il
pubblico, ad uno ad uno, come fossimo in casa d’amici, con semplicità, con parole disponibili, in
un italiano infarcito di dialettismi slangati che rendono il racconto una sequenza continua di
immagini, cariche e tenui come un filmato seppiato, una carrellata di personaggi dal sapore
arcaico, che fanno sorridere per tenerezza, mai per pietismo. Il pretesto sono le strade intitolate agli
uomini del Risorgimento che fanno esalare dal Passato recente nomi e fatti, vicende e personaggi.
E la storia di Pippo si mischia indelebile a quella di Fulvio cancellandone i contorni: emigrati
entrambi, il primo voleva fare l’attore, mentre il secondo c’è riuscito. Quasi una sorta di passaggio
di consegne, una rivincita sociale, una piccola vendetta dopo tanti anni lontano da casa, la
ertificazione dell’utilità della sofferenza, delle rinunce, del dolore della lontananza. Qui, ce lo
rendono, Giuseppe, Fulvio e Pippo, fusi in uno solo. Sembra di assaporare, vedendo la catasta di
valige in partenza su treni zeppi, l’atmosfera che si respira al museo dell’immigrazione di Ellis Island
a New York, dove venivano stipati i nuovo cittadini americani prima di essere spediti, nuovi schiavi,
dove serviva la loro forza lavoro. E’ una confessione da Libro Cuore, lontana dai patetismi, vicina
alle cose piccole e spicciole, con inserti prima di quattro Garibaldini, camicia rossa ma numeri sul
petto da Banda Bassotti, ora l’esilarante scena della matrona del Sud che spiega ai Savoiardi, muti
e leggermente fessi, la ricetta degli spaghetti al pomodoro, metafora e parodia dell’arraffare e
dell’appropriazione indebita che il Nord ha perpetrato nei confronti dello Stato delle Due Sicilie.
Qui emerge, chiara e netta, la solidità acquisita da Laura Bandelloni, in un gramelot strascicato, in
un dialetto sfaccettato, che ci fa sorridere, gioire, riflettere. C’è un’Italia unita con la forza e la
baionetta, che ha costretto il Meridione all’esproprio, alla povertà, all’emigrazione, un’Italia unita
nello Stivale che fa rima con Abu Ghraib o Afghanistan, d’immagini di morti trucidati solo perchè si
opponevano all’invasore. Pippo, infatti, con Cavour riesce a malapena a mettersi a sedere per
bersi un caffé, un caffè talmente amaro d’incomprensione da non essere bevuto ma che si
rovescia a terra come il sangue dei compaesani. Povera Patria.
FULVIO CAUTERUCCIO – E i briganti diventano partigiani in “Terroni d’Italia”
Come una clessidra, anche l’Unità d’Italia ha bisogno di essere ribaltata. In “Terroni d’Italia” Fulvio
Cauteruccio, non nuovo ai pamphlet che parlano del Sud e a cui lui stesso deve natali, passione ed arte, si
getta nell’impopolare quanto interessante operazione di vedere il processo di unificazione del Paese dalla
parte del meridione. Con i briganti che diventano partigiani e le acque che si mescolano in uno scorrere
storico ed umano che parla molti dialetti. Prova d’attore per il protagonista, sicuro ed ormai maturo
nell’interpretazione, lo spettacolo mette in mostra anche Laura Bandelloni, Massimo Bevilacqua, Umberto
D’Arcangelo e Francesco De Francesco. Dopo il debutto al Teatro Studio di Scandicci, in Toscana, sede della
compagnia Krypton che lo ha prodotto, lo rivedremo a Torino (Festival delle Colline Torinesi, Teatro della
Cavallerizza Reale, 11 giugno).
Valentina Grazzini – L’Unità – 20/05/2011
L’UNITA’ D’ITALIA CELEBRATA DAI TERRONI
L’altra faccia dell’Unità. In Terroni d’Italia il regista e attore Fulvio Cauteruccio di Krypton mostra in vari
dialetti tutte le contraddizioni del Risorgimento con un Sud sempre di serie B e briganti che diventano
partigiani. Autore del testo assieme a Giuseppe Mazza, Cauteruccio antepone la poesia alla
controinformazione. Regalando una gagliarda interpretazione si trasforma in Pippu, un povero cristo che ha
sognato per tutta la vita di fare l’attore e che ancora oggi canta su un treno di emigranti. In tableaux vivant i
garibaldini si muovono sui campi di battaglia come attori della Commedia dell’Arte su sgangherate tavole di
palcoscenico. In scena anche Laura Bandelloni, Massimo Bevilacqua, Umberto D’Arcangelo e Francesco De
Francesco.
Roberto Incerti – La Repubblica – 04/06/2011
FESTIVAL DELLE COLLINE – Fratellastri d’Italia, la vera storia è fatta dai terroni
Dopo i fratelli, ecco i fratellastri d’Italia. Gente vilipesa. Sentono di avere un conto aperto con lo Stato che
nel 1861 si unificò in una monarchia di “second’ordine e piena di debiti” (Dostoevskij).
Costoro, che l’Economist potrebbe definire “i fregati”, sono i Terroni d’Italia. Hanno trovato un narratore in
Pippo, un simpaticone creato da Fulvio Cauteruccio e da Giuseppe Mazza, un provinciale del catanese
cresciuto fra strade che hanno nomi sabaudi e risorgimentali. Pippo (alias Cauteruccio) racconta e ricorda.
Voleva fare l’attore, è diventato ragioniere. La scuola, i luoghi, lo spettacolo cui assistette un giorno al
Teatro Greco di Siracusa lo fanno precipitare continuamente nella storia dell’unificazione. Non in quella
ufficiale, scritta dai vincitori, ma nell’altra, quella che il ragioniere considera la vera: una storia di invasione,
di rapina, di repressione, che ha ridotto in miseria uno Stato florido, ne ha sterminato gli abitanti, li ha
costretti ad emigrare e a mettersi al servizio dei vincitori.
Cauteruccio monologa con meravigliosa verve, si rivela un entertainer spiritoso e affabile. Intorno a lui
quattro attori (fra cui Laura Bandelloni) creano quadri plastici dei Mille, interpretando lo sketch della
nobildonna napoletana che insegna agli invasori l’arte degli spaghetti. Intanto, scorrono simboli di una
disfatta, le foto dei briganti giustiziati e delle donne stuprate, i valori della patria affidati a un principe
canterino, i treni che vanno al Nord come nel Nulla. Si finisce tutti in piedi per Fratelli d’Italia, ma con un
po’ d’imbarazzo.
OSVALDO GUERRIERI – La Stampa – 12/06/2011
FESTIVAL DELLE COLLINE – Debutta “L’entetement” nella bella kermesse piemontese
AMARA TESTARDAGGINE
[…] Molto pungente invece lo spettacolo che si è cucito addosso Fulvio Cauteruccio (assieme a Giuseppe
Mazza per i testi), Terroni d’Italia. L’attore ripercorre, attraverso i 150 anni e i dialetti (ma anche Battiato e
Maria Nazionale), una personale storia del teatro, perché attore è in narratore protagonista. Una
prospettiva che ovviamente non piacerebbe oggi a Pontida, ma che con molto maggiori umanità e affetto,
mostra con grazia e ironia, i tanti volti dell’italiano del sud, garibaldino e emigrante.
Gianfranco Capitta – Il Manifesto - 19/06/2011
IL CAFFE’ AMARO DI PIPPO L’EMIGRANTE
L’evoluzione di Roccu u stortu. Fulvio Cauteruccio trasuda umanità in questo Terroni d’Italia, uno spettacolo
che sente particolarmente suo. Sedia impagliata, affabulazione, teatro civile. Ma non solo. E’ la storia,
comune, dell’immigrazione interna negli anni ’60, dal Sud verso il Nord.
E’ la storia di Giuseppe Mazza, impiegato delle Poste a Firenze, che ha buttato giù i propri ricordi, resi
teatralmente da Cauteruccio.
Emerge un sottobosco sempre poco, e male, raccontato, una storia piccola che incrocia e intercetta la
Storia grande, una fessura dentro la Grande Muraglia.
Nino D’Angelo e Maria Nazionale, meridionali che cantano l’unità dello Stivale, contrapposti a Pupo e al
(ram)pollo di casa Savoia. La colonna sonora ideale è Povera Patria di Battiato, scandita nel finale.
Il “nostro” Pippo si racconta, sorridendo delle proprie miserie, guardando il pubblico dritto negli occhi, in un
italiano infarcito di dialettismi che rendono il racconto una sequenza continua d’immagini, cariche e tenui
come un filmato seppiato.
Dalle strade dedicate agli uomini del Risorgimento esala un passato fatto di soprusi, angherie, conquiste,
briganti non per scelta ma per difesa.
L’accostamento Sud Italia – Afghanistan, o Regno delle due Sicilie – Iraq è tra i più gettonati. Sembra di
assaporare, vedendo la catasta di valigie in partenza su treni zeppi, l’atmosfera che si respira al museo
dell’immigrazione di Ellis Island a New York. I quattro garibaldini prima, camicia rossa ma numeri sul petto
da Banda Bassotti, l’esilarante scena della matrona del Sud (Laura Bandelloni spericolata in uno slang
sfaccettato) che spiega ai Savoiardi, muti e fessi, la ricetta degli spaghetti al pomodoro, metafora e parodia
dell’arraffare e dell’appropriazione indebita che il Nord ha perpetrato in quelle terre: sono inserti trasognati
di Pippo che, alla fine, con Cavour riesce a malapena a mettersi a sedere per bersi un caffè, talmente amaro
d’incomprensione da non essere consumato rovesciandosi a terra come il sangue dei compaesani.
TOMMASO CHIMENTI – HYSTRIO – anno XXIV 3/2011
INTERVISTA A FULVIO CAUTERUCCIO – FESTIVAL DELLE COLLINE TORINESI
http://www.srweb.it/POZZO/intervista_cauteruccio.mpg
ESTRATTI DELLO SPETTACOLO
http://www.srweb.it/POZZO/terroniditalia.mpg