Non ci sono parole per descrivere facilmente quello che abbiamo visto e vissuto in questi due giorni passati a Cracovia in compagnia del presidente della provincia Renzi, Nedo Fiano ed altri rappresentanti di altre istituzioni ed altre comunità.

Ci siamo trovati tutti in comune accordo che quando si parla di seconda guerra mondiale e campi di concentramento e sterminio si parla principalmente di date, numeri e luoghi.

Questo viaggio ci ha confermato che non è solo questo, ci ha dato modo di immedesimarci, anche se in maniera ben lontana, in quello che potevano aver subito i deportati, provare forti emozioni e sensazioni che ci sentiamo in dovere, a distanza di oltre 60 anni, di trasmettere agli altri.

Quella "gente" non era solamente una massa indistinta di individui accomunati dalla "razza" -come si usava dire- ma sono Persone con un nome, una vita, un volto.

Un volto che, come visto nelle foto ad Auschwitz, racconta le atrocità e le sofferenze a cui erano sottoposti.

Le estenuanti ore di lavoro, d'estate, d'inverno, nella pioggia e nella neve, le punizioni e il poco cibo in un ambiente apparentemente pacifico reso orribile dall'utilizzo che ne è stato fatto.

Il campo si presenta, infatti, come un luogo surreale, quasi finto, innocuo, con una natura bellissima che lo circonda, e che invece nasconde una realtà di terrore e grida, disperazione e morte.

All' interno ci sentivamo piccoli, spaesati, insicuri, impotenti e pervasi da un pesante senso di angoscia.

Ogni cosa che vedevamo riportava alla memoria cose sapute ma mai capite fino in fondo, provavamo tristezza per quelle persone, tristezza nel vedere tutto quel filo spinato, le cose organizzate così minuziosamente per l'assassinio, perchè di assassinio si tratta, di milioni di persone.

Camminare dove hanno camminato i deportati, dove hanno dormito e dove sono morti, il rumore dei propri passi, che loro non potevano sentire a causa delle grida dei loro carnefici e dell'abbaiare dei cani, ha amplificato la nostra capacità di riflessione, il silenzio che immaginiamo sia stato a lungo ricercato dai detenuti e che è stato trovato solamente a distanza di così tanti anni.

Tra le altre cose che ci hanno colpito ci sono le scarpe ed i capelli: le prime rappresentano la violenza fisica, uno con le scarpe si protegge i piedi, che ti sostengono tutto il giorno, e costringere quell'uno a rinunciarci significa privarlo di una delle più essenziali forme di comodità ed aumentare la sofferenza.

I capelli invece simboleggiano una violenza diversa, una violenza che colpisce l'intimo di una persona, specialmente le donne; prendiamo una donna con dei bei capelli, rasati a zero: era come costringerla ad una nudità innaturale, imbarazzante.

È stata particolarmente toccante una frase che Nedo ha detto di fronte a tutti noi, senza vergogna e senza paura ma con un' esplicita commozione negli occhi e nella voce, guardando quei capelli ormai ingrigiti dal tempo: "Chissà, magari qua potrebbero esserci i capelli della mamma.".

A differenza di Aushwitz, Birkenau colpisce per la sua vastità, i suoi spazi aperti, desolati, ai nostri occhi quasi infiniti, ma in realtà delimitati ed interrotti da un' interminabile recinzione di filo spinato. L'immensità indescrivibile del campo è sconvolgente, e solo percorrerla a piedi può rendere l'idea delle dimensioni. Allo stesso modo ci hanno colpito i binari, sui quali un tempo arrivavano i treni carichi di persone. Una volta scesi si compiva il primo grande massacro del campo, una rapida e superficiale selezione dalla quale si salvava soltanto il 15% del "carico": via i vecchi, i bambini, i disabili, le donne incinte oppure apparentemente fragili.

La vita a Birkenau durante il periodo di funzionamento era frenetica,meccanica,incessante. Bisognava affrettarsi, lavorare con precisione e sveltezza, ed eliminare il maggior numero possibile di esseri umani. Ci rimarrà sempre impressa negli occhi l'immagine, rievocata da Nedo, delle fiamme dei 4 forni crematori, che non venivano mai spenti per non perdere minuti per così dire preziosi, e che illuminavano l'intero campo di una luce perversa e di un odore acre di carne bruciata. Scene ed odori che noi non potremo mai davvero comprendere, ma di cui Nedo ci ha reso partecipi, condividendo con noi i suoi ricordi e la sua intimità. Ci ha presi per mano, raccontandoci dapprima quando, nel mezzo della rampa, ha abbracciato per l'ultima volta sua madre, la sua mamma dagli occhi verdi che, appena diciannovenne, ha perso insieme a tutta la sua famiglia; e poi quando,dopo aver posato una corona di fiori sulla lapide in onore dei morti nel campo, ha salutato i suoi cari: "Ciao mamma, ciao babbo".

Ecco, Nedo è stato davvero fondamentale per questa esperienza, e le sue parole hanno reso più vive e più nitide molte cose che una guida qualsiasi non riesce a insegnare. Tutti noi ci siamo accorti che più si conosce, meno si riesce a capire il perchè di queste atrocità, e fino a che punto la mente umana può arrivare a compiere determinate azioni. Ci siamo sentiti incredibilmente fortunati, inconsapevolmente fortunati, di tutto ciò che abbiamo e possiamo fare, ma abbiamo soprattutto capito che la memoria, il ricordo di certi crimini è un valore importante che ci sentiamo di trasmettere. Di fatto siamo l'ultima generazione che potrà avere come diretti testimoni alcuni dei sopravvissuti, e siamo consapevoli che la responsabilità e l'onere di questo messaggio ci sono stati affidati. Abbiamo cominciato a sentire come proprio il bisogno ed il dovere di ricordare e di vigilare, di vivera la nostra vita, come ci è stato più volte raccomandato, " come protagonisti e non come comparse, immergendoci a fondo senza sostare a galleggiare in superficie", di continuare sempre a pensare con la propria testa, perchè la distruzione dell'umanità si ottiene dalla distruzione della capacità di pensare indipendentemente.

Ma soprattutto siamo certi di questo, che non dobbiamo dimenticare mai, e che dobbiamo far sì che non succeda mai più.

Gorbaccio Maria Chiara 2α; Berardicurti Eva 4A, Quacquarini Iacopo 4B, Aioanei alexandra 4C, Menicacci Silvia 4E, Maesano Cosimo 4G, Mani Francesco 4I, Neroni Marco 4I